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DESIGN 2013/14 n 1 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-1.blogspot.it/

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DESIGN 2013/14 n 2 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-2.blogspot.it/

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DESIGN 2013/14 n 3 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
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Ghirlanda Design

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LEZIONE 10/parte 2 del 5 marzo 2014 - gli anni '60: 1967 metallo & plastica... galalite, bachelite, plastica e polimerizzazione


LEZIONE 10/parte 2 - gli anni '60: 1967 metallo & plastica... galalite, bachelite, plastica e polimerizzazione
GLOSSARIO: galalite, bachelite e plastica & polimerizzazione
 1935 radio in resina fenolica verde marmorizzata
1945, radio in resa fenolica, Produz USA, Azienda: Fada (New Jersey, USA)
Radio Fada mod. 1000 "Bullet" | Modernariato di design
... una resina fenolica dal colore opaco, spesso nera o marrone scura.

Le materie plastiche sono i primi materiali costruiti interamente dall'uomo e non trovati in natura pur essendo sostanze organiche (come il legno, la carta o la lana). La plastica nasce infatti da risorse naturali tra cui carbone, sale comune, gas e soprattutto petrolio.
La plastica è un materiale originato dalla raffinazione del petrolio. La polimerizzazione è il processo di unione di monomeri per sintetizzare polimeri che escono dalla fabbrica in granuli o in resina, cioè liquido + o - viscoso,e da qui una varietà di prodotti mediante diverse tecniche: estrusione, iniezione, estrusione soffiaggio, calandratura, schiumatura, etc.
MATERIE PLASTICHE: Prodotti costituiti o contenenti, come ingrediente principale, una sostanza organica ad alto peso molecolare (➔ polimero) e che, per quanto solidi allo stato finale, durante alcuni stadi della loro fabbricazione sono abbastanza plastici per poter essere foggiati, sfruttando nella maggior parte dei casi l’effetto della temperatura o della pressione o di ambedue.
PETROLIO-PLASTICA

La plastica è un materiale originato dal petrolio.
Ne esistono molti tipi chimicamente e fisicamente differenti; tra le più diffuse ricordiamo: il polietilene (LDPE e HDPE), il polietilentereftalato (PET), il polipropilene (PP), il polistirolo (PS), i poliestrusi (PT), il polivinilcloruro (PVC) e i poliaccoppiati (PI).
ABS: sigla delle iniziali acrilonitrile, butadiene, stirene; mescolanza tra resina ed elastomero; ottima resistenza all'urto e durezza superficiale; prodotte negli anni '50.
BAKELITE, FENOLICHE RESINE, : le resine fenoliche sono termoindurenti, sviluppate da L. H. Baekeland nel 1909, impiegate tra le 2 guerre mondiali con stampaggi, o stampi, usati  per l'industria elettrica, telefonica, etc.
CELLULOIDE: prima materia plastica artificiale derivata da nitrato di cellulosa e canfora. I fogli di cellulosa possono essere colorati, forati, stampati a pressione, cuciti, ma non sottoposti a pressione, né lavorati ad estrusione perché si decompone  alle temperature necessarie a simili tecnologie.
ESTRUSIONE: processo di trasformazione di un polimero, mediante calore e pressione, in un manufatto in forma continua e o trafilata. Nell'estrusione i granuli sono riscaldati e spinti da una vie senza fine (coclea) attraverso un'apertura sagomata a scelta. Si producono per estrusione: tubature, profilati, travi e similari.
ESPANSIONE: materiali plastici espansi o schiume: possono avere struttura cellulare rigida o flessibile. La resina viene introdotta allo stato pastoso di gas sotto pressione  quali azoto o anidride carbonica, che ne provocano l'espansione. Oppure per i poliuretani, dove i gas espandenti sono generati dalla stessa materia plastica allo stato pastoso mediante reazione chimica dei suoi stessi componenti.
INIEZIONE: stampaggio principalmente utilizzato per materiali termoplastici in granuli , o termoindurenti, portati allo stato fluido con il riscaldamento, con pressione di pistone. Le presse sfruttano la proprietà delle resine termoplastiche di rammollire a caldo, iniettati e poi, attraverso uno stretto ugello entrano in uno STAMPO mantenuto a freddo. A contatto con lo stampo freddo il materiale solidifica e quando lo stampo viene aperto il pezzo si estrae senza tema di deformazione.
MELAMMINA o RESINA MELAMMINICA: La melammina, o melamina è un composto eterociclico fortemente azotato, importante come materia prima per la realizzazione di polimeri. La melammina fu scoperta nel 1834 da un chimico tedesco Justus von Liebig (1803-1873 "Da professore universitario sviluppò un metodo di insegnamento della chimica basato sull' attività in laboratorio" Justus von Liebig - Wikipedia), ma il suo utilizzo industriale iniziò solo a partire dal 1940. La melammina è insieme alla formaldeide la materia prima per la preparazione delle resine melamminiche, resine termoindurenti frequentemente utilizzate per la produzione di stoviglie e contenitori da cucinaLe resine melamminiche sono resine sintetiche termoindurenti ottenute per policondensazione della formaldeide con lamelammina. Si ottiene una resina incolore e inodore, resistente all'acqua, agli agenti chimici, all'abrasione, al calore e con una notevole trasparenza alle radiazioni luminose soprattutto nel violetto. Le resine melamminiche sono utilizzate per la produzione di laminati plastici (quali formica e arborite), mobilia da cucina, servizi da tavola (soprattutto piatti), colle e vernici.
POLICARBONATO 1957, Germania e USA, mantengono caratteristiche inalterate tra +140° e - 100° C, possibile superficie dura e trasparente.
POLIESTERE costituite da liquidi viscosi: robuste, flessibili e con possibilità di rinforzo, con additivi di fibre di vetro o di carbonio, per casseforme e scafi.
POLIURETANI poliaddizione di isocianati e polioli, in Germania 1941, materiale rigido:  per l'industria automobilistica, edilizia; o flessibile: per cuscini, materassi, rivestimenti. 
SVEZIA 1954, Lars Mgnus Ericsson (1846-1926) fonda la Ericsson a Stockholm nel 1876.
modello del 1892, campione di vendite per 17 anni, SoligoStore | Telefono ericsson 1890: "ANTICO TELEFONO PRODOTTO DALLA ERICSSON NEL 1892, A CAUSA DEL SUO ASPETTO ESTETICO ASSUNSE IL NOME DI "SKELETON" IN INGLESE, IN ITALIA "RAGNO" O IMPROPRIAMENTE "TORRE EIFFEL". VENIVA CHIAMATO IL CENTRALINO TELEFONICO GRAZIE AD UNA SCARICA ELETTRICA PRODOTTA DAL MAGNETE INCORPORATO NELLA BASE, L'OPERATORE A QUEL PUNTO PROVVEDEVA METTERE IN COMUNICAZIONE CON L'UTENTE DESIDERATO."
1931, modello in bachelite di Jean Heiberg che conquistò l'Inghilterra

il modello Ericofon richiese 15 anni di ricerca. Colori pastello, primo telefono ad elemento unico

ericofon.com - Ericofon History: ... "cobra"...l'Ericofon è stato lanciato nel 1956... il Museum of Modern Art di New York ha selezionato l'Ericofon come uno dei migliori design del 20° secolo.
prototipi del primo modello in creta
Ericofon, Ericsson
modello 1954


giovedì 6 marzo 2014


Pronto? Pronto ! ^^

"hello"
inserisco il post nella Lezione 10. cp
foto ritratto Gosta Thames
"L’Ericofon, creato dalla svedese Ericsson nel 1954 per mano del designer Gosta Thames, è forse uno dei più grandi passi in avanti nel design di telefoni e piccoli elettrodomestici in genere. Grazie alle scoperte tecnologiche effettuate durante la seconda guerra mondiale, plastica e materiali ferromagnetici in primis, nei primi anni 50 fu possibile pensare e progettare un prodotto innovativo, comodo e soprattutto esteticamente rivoluzionario per l’epoca."
Antonio Moro, L'Ericofon, Sul blog DesignerBlog,  20 febbraio 2007.
dal web: http://www.designerblog.it/post/826/lericofon
foto pubblicità 1
"L’Ericofon fu prodotto in 18 bellissimi colori e ne esistono due varianti leggermente diverse, una più allungata, quella originaria prodotta per il mercato europeo e australiano e una leggermente più corta, prodotta per il mercato americano." 
 (da: Antonio Moro, op. cit. )
foto pubblicità 2
copertina dell'Esposizione al MOMA 1954
"Originariamente pensato per il mercato professionale, l’Ericofon deve la sua forma e struttura compatta e senza separazione tra corpo e cornetta al suo originario target di riferimento: gli ospedali. Utilizzare un telefono da tavolo dal letto di un ospedale poteva diventare un incubo con cornetta e corpo separati, da qui l’idea di incorporare i due elementi in un’unica forma compatta e di facile utilizzo. Tutto il telefono è strettamente elettromeccanico, tranne per la suoneria che in alcuni modelli è elettronica     (detta “Ericotone") e che rappresenta il primo esempio di elettronica applicata alla telefonia domestica."
(da: Antonio Moro, op. cit. )

Gustavo VI Adolfo di Svezia e Margrethe, 
Ma gli utenti non furono solamente la classe media, il telefono arrivò a gran successo anche nella casa reale Svedese alla guida del contemporaneo re Gustavo VI Adolfo di Svezia (1950-1973).

ITALIA  1949
KARTELL e MOPLEN
         CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 2: E.M. Kartell, 
1969 (Appunti per la Lezione) - Joe ColomboVisiona 1, per Bayer Interzum , Modello di arredo per interni presentato al Salone del Mobile di Colonia
"... Azienda italiana fondata nel 1949 a Noviglio, in provincia di Milano da Giulio Castelli.
... Al polietilene si affiancano il poliestere, il polipropilene, l'ABS e al processo di stampaggio quello a iniezione. Nascono la seggiolina per bambini 4999 di Zanuso e Sapper, la prima sedia interamente in plastica (Compasso d'oro 1964), il portacenere/gettacarte 4610 di Gino Colombini, o gli elementi componibili quadri 4970 di Anna Ferrieri Castelli. La sedia 4867 di J. Colombo è del 1968: dapprima in ABS, poi in nylon e infine in polipropilene. Con la sedia 4584 di G. Aulenti (1974) seguita da tavolino e poltroncina, prende avvio la tecnologia dello stampaggio in poliuretano strutturale.".
da: CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 2: E. M. Cestino Mascarene, produz. Danese, 1964 - Negli anni ’60 l’incontro di Enzo Mari e Bruno Munari con Bruno Danese da vita a una produzione sperimentale che esprime essenzialmente modelli di ricerca. In quegli anni Mari è sicuramente il più impegnato a definire la più ampia applicazione di “questa rivoluzione culturale” del progetto, in tutte le possibili tipologie. L’azienda cerca e trova nuove soluzioni di genere produttivo per dare maggiore stabilità al proprio mercato, che necessità di un costante allargamento in qualità ma anche in quantità. Tuttavia la ricerca si confronta con la sperimentazione della possibilità d’uso di materiali poveri e di tecniche industriali; Gli oggetti nascono dalla “ricerca morfologica condotta sulla possibilità di intervenire con operazioni, strumenti e tecniche elementari, utilizzando semilavorati industriali, quali tubi, profilati di metallo o materiale plastico.

Dopo le esperienze sulla lavorazione del marmo e del vetro e le ricerche sui tagli e i fori nei profilati di alluminio, Mari dedica un lungo periodo allo studio delle materie plastiche e della loro applicazione; il quale con minimi interventi su geometrie pure e volumi elementari, di macchina (un taglio netto diagonale o perfettamente circolare), mostra le possibilità di variazione formaledando vita ad alcuni più importanti oggetti “storici” della produzione Danese. Tra questi il portacenere-cestino Mascarene, un tubo nero, cm 25x90 (estruso in PVC e melammina) dove il materiale impiegato è unificato nella resina, con due fori, per gettarvi la carta e alla sommità un posacenere , [...] "un buco che attraversa un buco" [...] da Enzo Mari, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011.
Mari sperimenta sempre sulle forme, e successivamente genera tutta una serie di progetti, come l’ attaccapanni Kerguelen (1967), l’estruso in PVC è caratterizzato da due fori “frontali”, uno superiore con la funzione di portaoggetti (con l’inserimento di un piano orizzontale) e uno inferiore come portaombrelli , e un sistema di tagli e bucature nella parte superiore dell’oggetto, per appendere gli indumenti, che trasforma un banale tubo di plastica in un cestino-portaombrelli. L’uso di interventi semplici su forme semplici, in particolare, in questo caso, “tagli” e forature su volumi primari come il cilindro servono anche a creare diverse immagini dell’oggetto, da qualsiasi lato lo si guardi.
Per ognuno di questi oggetti in plastica vale tuttavia la medesima interpretazione: si tratta di autentiche invenzioni tecnologiche oltre che estetiche, derivate dalla possibilità di un nuovo materiale, in equilibrio inscindibile tra funzione, materiale e forma.
Riferimenti bibliografici
AA. VV., Perché un libro su/ Why write a book on Enzo Mari, Federico Motta, Milano 1997, pag. 106, 107, 108. 109, 110, 111, 112
Sefano Casciani, Arte Industriale, gioco oggetto pensiero Danese e la sua produzione, Arcadia edizioni 1988 Milano pag. 153-156
Riferimenti immagini
AA. VV., Perché un libro su/ Why write a book on Enzo Mari, Federico Motta , Milano 1997, pag. 106, 107, 108. 109, 110, 111, 112
Renato Pedio, Enzo Mari designer, ediz. Dedalo libri, Bari 1980."
Enzo Mari, Mascarene
                 Gino Colombini, secchio tondo con coperchio, polietilene, Produz Kartell,  1952, compasso d'oro 1954 e portacenere/gettacarte 4610  
MOPLEN: Nome commerciale depositato di una materia plastica prodotta per polimerizzazione stereospecifica del propilene ( polipropilene) e dotata di particolari proprietà d’impiego, superiori a quelle del polipropilene non stereospecifico1963  Giulio Natta riceve il Nobel per la chimica le cui ricerche conducono alla scoperta del polipropilene isolattico: il MOPLENossia una plastica dalle possibilità rivoluzionarie e che infatti trasformerà la quotidianità di tutti con nuovi prodotti, e nuovi consumi, attraverso una gamma di prodotti per l'uso domestico, alimentare, sanitario, costruttivo, etc. 

da: Moplen - Wikipedia: "Moplen è stato il marchio registrato di una nota materia plastica, il polipropilene isotattico (indicato chimicamente con la sigla PP-H), ottenuta tramite reazione dipolimerizzazione a partire dal propilene. Tale materiale è da considerarsi profondamente innovativo perché, sia per le sue caratteristiche di resistenza meccanica, sia per l'economicità di lavorazione, ha rivoluzionato l'industria dei materiali termoplastici. Il Moplen è, ancora oggi, una delle materie termoplastiche più utilizzate nell'industria, trovando largo impiego nell'ambito idrosanitario (tubi di scarico e sifoni) e casalingo (vasche, secchiscolapasta)... Il polipropilene isotattico fu scoperto negli anni cinquanta dal chimico imperiese Giulio Natta. L'invenzione valse a Natta il Premio Nobel per la chimica del 1963.
Il Moplen era prodotto dalla Polymer e dalla Montesud (controllate della Montecatini, poi Montedison). Lo stabilimento di Terni dove si produceva il polipropilene era gestito dalla controllata Polymer, mentre quello di Brindisi era invece gestito dalla controllata Montesud. Nel 1971, la Polymer si fuse poi per incorporazione nella Montefibre, ma il settore fibre Merak e Neofil fu separato da quello della plastica, che si sviluppò soprattutto per le pellicole trasparenti Moplefan usate nel confezionamento dei prodotti alimentari."









venerdì 28 febbraio 2014


* Quella plastica nostrana che colorò la vita quotidiana

*** OK non tocchiamolo più. cp
"All’inizio degli anni ’50, cominciarono ad arrivare in Italia una moltitudine di polimeri parzialmente o del tutto sconosciuti: PVC, Melammina, Polietilene, Polistirene, Nylon, Terilene, Lycra. “Arrivavano sul mercato in continuazione plastiche nuove, chi le aveva prodotte per usi bellici cercava di venderle anche per altri impieghi. Mavenivano fornite solo le loro caratteristiche e null’altronon c’erano esempi di oggetti realizzati cui rifarsi; si sapeva che gli inglesi producevano delle belle bacinelle con il Polietilene… Comprarle e applicarle era un rischio, una continua sfida capire che cosa ci si poteva fare. Bisognava provare, sperimentare…."
(Anna Castelli Ferrieri, intervista rilasciata a Cecilia Cecchini, febbraio 2006, da: Cecilia CECCHINI, Splendori e miserie delle plastiche nel paesaggio domestico, 1950 – 1973, in Cecilia Cecchini, a cura di, mò...moplen, il design delle plastiche negli anni del boom, Designpress, Roma, 2006, pag 14.)
"Le plastiche arrivavano in un Paese semidistrutto, con alle spalle un ventennio da dimenticare, ma anche, anzi proprio per questo, un Paese in grande fermento, con un clima culturale caratterizzato dalla determinazione e dall’urgenza degli intellettuali di confrontarsi, di uscire dal letargo culturale del fascismo, di ricostruire materialmente e moralmente un mondo nuovo, diverso, migliore.
Per i progettisti del nascente disegno industriale si trattava di rispondere ad una domanda di modernità fino ad allora inevasa, in un mercato produttivo e in un circuito distributivo che doveva per buona parte essere reinventato.
Si trattava di costruire un linguaggio per l’industria, partendo dal vasto e prezioso bagaglio della cultura artistica e artigianale presente in Italia. Un linguaggio in grado di incidere sulla realtà del Paese in un campo – quello degli artefatti – più libero e immediato di quello dell’architettura e dell’urbanistica. Un linguaggio che poteva essere veicolato e riprodotto a buon mercato proprio sfruttando le potenzialità della nascente industria.
In questo quadro l’impiego dei polimeri – materiali nuovi, economici e versatili – fu la lungimirante risposta di alcuni giovani imprenditori, come Giulio Castelli, laureato in ingegneria chimica con Giulio Natta, che fondò la Kartell nel 1948 con la volontà di produrre oggetti di uso quotidiano puntando sulla qualità, sulla quantità e sul basso prezzo. E di aziende già esistenti, come quella fondata da Enrico Guzzini nel 1912 che passò dalla produzione manuale di tabacchiere in pregiato corno, a quella di oggetti in plastica, realizzando, già nel 1938, le prime posate da insalata in Plexiglas, materiale usato fino ad allora solo nell’industria bellica. O la Mazzucchelli di Castiglione Olona, fondata da Santino nel 1849 per la produzione di bottoni e pettini ricavati dalle corna di bue, che divenne un punto di riferimento internazionale per la lavorazione della Celluloide, del Rhodoid e, poi, di tanti altri materiali plastici.
O, ancora, la Ditta Pirelli fondata nel 1872 per la produzione di articoli in gomma”, che oltre ai pneumatici iniziò a produrre borse per l’acqua calda, suole per le scarpe, impermeabili, flaconi e un gran numero di semilavorati dalle prestazioni elastiche, come il Nastrocord, subito sfruttato da Marco Zanuso, insieme alla Gommapiuma, per la realizzazione delle poltrone Lady e Martingala  prodotte dalla Arflex."
Cecilia CECCHINI, op. cit.  pag 15-16.
Fiera Campionaria di Milano, Ingresso della Mostra Internazionale Estetica Materie Plastiche, 1956
da: http://archiviostorico.fondazionefieramilano.com/la-nostra-storia/1951-60.html
Era l'11 marzo 1954 quando, Giulio Natta e il suo team, nell'Istituto di Chimica Industriale del Politecnico di Milano, diedero vita al polipropilene (Nel 1963, Natta, insieme al chimico tedesco Karl Ziegler, fu insignito del Premio Nobel per la chimica, per la scoperta dei catalizzatori con i quali fu possibile creare il polipropilene.). Grazie all'intuito di Piero Giustiniani, manager della Montecatini, e quindi ai grossi finanziamenti stanziati, ottennero, a seguito della reazione di polimerizzazione del polipropilene, il polipropilene isotattico (PP-H), ribattezzato Moplen.
"Nel 1956 alla Fiera di Milano - promossa dalle riviste StileIndustria Materie Plastiche, voluta da Alberto Rosselli con la consulenza di Gio Ponti – si svolse la “I Mostra Internazionale dell’Estetica delle Materie Plastiche”, dove furono esposti 160 oggetti prodotti in Italia, in altri paesi europei e negli Stati Uniti."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.19
Alberto Rosselli, Stile Industria, n.7 del Giugno 1956





















"Erano oggetti di varia natura, accomunati dal fatto di avere un disegno contraddistinto dall’uso appropriato del materiale.
In quella occasione apparvero evidenti le grandi potenzialità tecniche ed espressive delle plastiche, la possibilità di realizzare attraverso un buon design una loro immagine originale. E sembravano ancora più incongrue le produzioni imitative che ancora sopravvivevano."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.19
Fiera Campionaria di Milano, Sala Moplen (in occasione della prima presentazione al mondo), 1957
 "La declinazione delle suggestioni formali delle plastiche si ebbe compiutamente negli anni ’60, ma questi materiali cominciarono ad entrare prepotentemente nelle case degli italiani già dalla metà degli anni ’50, modificando gli ambienti domestici, cambiando i gesti e i suoni della quotidianità, inventando nuovi oggetti adatti a soddisfare nuove funzioni.
La suggestione, il calore, la scabrosità e la sonorità dei materiali naturali furono in pochi anni rimpiazzati dalle impensabili forme delle plastiche, colorate, lisce, leggere, silenziose. Ed economiche, dunque accessibili, al contrario di molti prodotti dell’artigianato riservati ai ceti più abbienti. Le plastiche assecondavano una democratizzazione dei consumi che esplose attorno al 1958, indicato come l’anno dell’inizio del boom economico."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.19
Certo la plastica non era vista con simpatia da tutti, infatti negli anni cinquanta, il semiologo francesce Roland Barthesdisse:
"Più che una sostanza, la plastica, è l'idea stessa della sua infinita trasformazione; è come indica il suo nome volgare, l'ubiquità resa visibile (…). Nell'ordine poetico delle grandi sostanze è un materiale sgraziato, sperduto tra l'effusione della gomma e la piatta durezza del metallo: esse non arriva a nessun vero prodotto dell'ordine minerale, schiuma, fibre, strati. È una sostanza andata a male: a qualunque stato la si riduca, la plastica, conserva un'apparenza fioccosa, qualcosa di torbido, di cremoso e di congelato, una incapacità di raggiungere la levigatezza trionfante della natura. E più di tutto la tradisce il suono che ne esce, vuoto e sempre piatto; il suo rumore la disfa, come anche i colori, perché sembra poterne fissare solo i punti chimici: del giallo, del rosso, del verde, prende solo lo stato aggressivo, servendosi di essi come di un nome, capace di mostrare soltanto dei concetti di colore."
citazione in Paolo PORTOGHESI e Giovanna MASSOBRIO, Album degli anni Cinquanta, Laterza Editore, Roma, 1977, pag.332.
Ma basta considerare gli arredi di Charles e Ray Eames o la serie Tulip di Saarinen per concludere che la plastica era invece disponibile ad assumere forme di una dignità pari a quella del legno e del marmo.
C. & R. Eames, Arredi (Soft Pad, tavolo riunione, tavolino, modern chair),
Miller e Vitra, anni 50 e 60
Vasca in Moplen
"Moplenpolimero termoplastico, era estremamente leggero (peso specifico 0.90, dunque filamenti e funi galleggiavano sull’acqua), resistente al calore (punto di fusione 176°, dunque superava l’agognata barriera dei 100° indispensabile per la sterilizzazione dei recipienti), possedeva ottime proprietà dielettriche (dunque adatto ad applicazioni in campo elettrico ed elettronico), facilmente plasmabile poteva essere estruso, formato sotto vuoto, stampato con spessori sottili e forme complesse, colorato in massa, saldato. Il Polipropilene è diventato così in pochi anni il materiale della 
quotidianità nella casa, ma cominciò ad essere impiegato in modo massiccio anche in agricoltura, nel settore elettromedicale, nell’industria.(Cecilia CECCHINIop.cit., pag.20) La produzione principiò alla fine degli anni '50, ma è negli anni '60 che questo nuovo materiale provocherà una vera e propria rivoluzione e che darà loro il nome di: “anni di plastica”.
Passapomodoro in Moplen
Spremiagrumi in Moplen
Tritacarne in Moplen
Imbuto in Moplen
Scolapasta in Moplen
Insalatiera in Moplen
Contenitore Alimenti Liquidi in Moplen
"Tra kitsch imitativo, improbabili pezzi

frutto della libertà progettuale consentita dalle plastiche, originali di famosi designer, copie prodotte in migliaia di pezzi e mirabili esempi di design anonimo, il paesaggio domestico 

intraprese in quegli anni una trasformazione senza ritorno, cui le plastiche contribuirono in maniera significativa."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.20 

"Anche il più piccolo laboratorio di falegnameria imparò in brevissimo tempo a costruire banconi da bar... che sembravano disegnati da Gio Ponti; la più piccola officina elettrica imparò subito a fare lumi che sembravano di Viganò; il tappezziere si sbizzarrì su modelli di poltrone che potevano simulare Zanuso. Questa sorta di saccheggio indiscriminato e dissacrante permise un rinnovamento formale di tutta la fascia media della società italiana: fu uno stile che sostituì definitivamente gli orpelli fascisti, l’Ottocento provinciale, che permise di configurare in maniera provvisoria ma completa una prima ipotesi di Italia moderna”
Andrea Branzi, citazione in, Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.17
Lella e Massimo Vignelli, Saratoga, Poltronova, 1964
"La plastica non era più sinonimo di prodotto atto a sostituire materiali nobili e naturali, ma veniva privilegiata per le sue virtù di resistenza, serialità e possibilità cromatiche. Addirittura si notava allora un ribaltamento di percezione e identità: i materiali naturali venivano camuffati da artificiali, esemplare in questo senso era il caso delle sedute Saratoga, disegnate nel 1965 da Lella e Massimo Vignelli per Poltronova, in cui il legno della struttura di base venne laccato in poliestere, e quelli artificiali diventano ricercati, come il Moplen che invadeva le case degli italiani in piccoli oggetti d’uso quotidiano, dalle stoviglie ai giocattoli, e perfino alcune componenti d’arredo venivano realizzati in plastica. "
Simona SCOPELLITI, Il design degli anni Sessanta e Settanta : un nuovo modo di intendere l'utenza, tra progetti di utopia radicale e impegno sociale , pag. 12 -http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1711/825991-126302.pdf?sequence=2 
Questa rivoluzione non fu soltanto stilistico-pratica, ma divenne una vera e propria rivoluzione sociale.
Sostituendosi all'acciaio, al vetro, al legno, alla bachelite, il Moplen rivoluzionò la vita degli italiani, di ogni ceto, dando colore e leggerezza a quegli strumenti che sino ad allora erano stati freddi ed anonimi compagni di lavoro delle casalinghe.
L'Italia divenne l'avanguardia in una nuova tecnologia, che era alimentata dal boom economico e che lo alimentò a sua volta, creando nuovi posti di lavoro e benessere economico.
Per chi sono i materiali nuovi? Per chi sono i prodotti del disegno industriale? I nuovi materiali sono stati lungamente guardati con sospetto, quando il pubblico disorientato si è chiesto: ma la plastica, cos’è? È ricca o povera, da salotto o da cucina? È per me, per noi, per loro o per tutti? Questo per tutti indubbiamente, ha spaventato. Coloro che non sapevano riconoscere un valore che ne catalogasse i requisiti rappresentativi, sono rimasti perplessi.
Certo è sempre difficile verificare l’importanza e la validità di concetti e di estetiche nuove soprattutto in casi come questo, quando il mercato ha cominciato per la prima volta ad offrire, senza alcuna discriminazione preconcetta, oggetti che avevano chiaramente una destinazione comune. Intendendo per comune, non quanto è ovvio e banale ma quanto è pensato e proposto ad un pubblico al quale si chiede un solo tipo di preparazione nell’accostarsi all’oggetto: di saperlo assimilare come espressione totale della propria civiltà. La plastica è materiale non per ricchi o per poveri, non per la massa o per l’elite. Ha delle precise caratteristiche tecniche che la rendono possibile per fornire oggetti che attraverso il suo impiego acquistano forme tali da determinare una nuova estetica
GRAMIGNA Giuliana, Plastica per la massa o per l’elite?, in “Ottagono”, n. 13, 1969

Già negli States, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il genio di Earl Tupper, utilizzando quel materiale flessibile, robusto, inodore e leggero, quale è il polietilene, diede vita ai Wonderbowls, coperchi ermetici che assicurano una perfetta impermeabilità e che rivoluzioneranno il modo di conservare i cibi invadendo le case di tutto il mondo. (Anche il modo di vendere, visto che l'azienda punterà proprio sulle capacità e la voglia di indipendenza economica delle casalinghe di tutto il mondo, per la diffusione del prodotto. Non c'era più il commesso che bussava porta a porta, ma si comprava direttamente dalla vicina di casa.)

"L’uso massiccio delle plastiche ha di fatto coinciso-contribuito al passaggio da una società
ancora di stampo contadino alla “società del benessere”. Nel bene e nel male esse assecondavano la corrente dell’evoluzione dei mutati e nuovi consumi, talvolta anticipandoli. Un processo che toccò il suo massimo negli anni ’60, di cui le plastiche furono le scintillanti e colorate icone.
Per comprendere appieno questo processo, l’impiego dei polimeri deve essere inquadrato nell’ambito delle più generali modificazioni che il design – neonata disciplina dalle funzioni ancora nebulose - operò negli anni ’50 sull’intero universo materico. Fu una rivisitazione che coinvolse anche i materiali più tradizionali - dai vimini alle ceramiche – inventando insospettabili valenze espressive."
Cecilia CECCHINI, op.cit.
"Le materie plastiche hanno assunto molte valenze nel corso degli anni. In alcune nazioni europee e americane le proprietà delle materie plastiche (come ad esempio l'economicità, la leggerezza, le infinite possibilità cromatiche) caratterizzavano soprattutto prodotti “poveri” e destinati ad un'utenza che non poteva permettersi di utilizzare i materiali naturali o quelli artificiali già nobilitati da decenni. L'intervento progettuale del designer, ha permesso in Italia di trasformare questi “difetti” in pregi e in qualità. La cultura italiana del progetto ha infatti saputo fornire alle materie plastiche un'ottima autonomia e un'identità propria che le ha sottratte al ruolo di imitazione di materiali “nobili” (come ad esempio l'avorio). Ha inoltre dato un “valore aggiunto” grazie al loro uso in oggetti non legati agli “stili” classici della tradizione.”
Nicoletta e Massimo SALA, Le geometrie del design, FrancoAngeli editore, Milano, 2005, pag. 148

Giancarlo Mattioli, Nesso, Artemide 1967


Gae Aulenti, Re Sole, Kartell, 1967
Il mondo della produzione cominciò ad usare "...i polimeri di Natta  per creare dei piccoli oggetti che rinnovarono il panorama domestico grazie e soprattutto alle loro nuove forme e ai colori inconsueti per quelle tipologie di oggeti (tinozze, secchi, pattumiere, contenitori per alimenti a chiusura ermetica, tazze, posate e insalatiere). Tutti colorati, durevoli, quasi indistruttibili, e facilmente lavabili. Negli anni '60 i prodotti in plastica hanno avuto un salto di qualità, grazie a una sempre più approfondita conoscenza delle caratteristiche e delle tecnologie di lavorazione di questi materiali. Si amplia così anche la gamma tipologica grazie ad usi più precisi ed intelligenti. Nascono nuovi prodotti, ma anche nuove e inedite versioni di oggetti legati alla tradizione. L'avvento dei materiali a iniezione ed espansi evidenziarono delle buone proprietà strutturali e degli insospettabili risultati formali, come ad esempio la sedia monoblocco in polistirene (1967) ideata da Panton. Di questo decennio è la lampada Nesso (1967), di Giancarlo Mattioli (Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova) per Artemide. È caratterizzata da una forma dolce e amichevole, tipica espressione dello spirito e del gusto del periodo in cui è stata progettata."
Nicoletta e Massimo SALA, op.cit,  pagg. 148,149.
"Nel corso degli anni ‘60 i polimeri furono i materiali d’elezione nell’assecondare le istanze del vivere “giovane”, informale, nomade. Tra ideali rivoluzionari, seduzioni consumistiche e nuovi miti, il potere comunicativo delle plastiche la fece da padrone: dai morbidi Poliuretani, al trasparenteAcrilico, al lucido ABS. Mentre arrivavano anche in Italia da oltre oceano le suggestioni dell’era spaziale veicolate da film cult come Barbarella (1967) – Jean Fondavestita da Paco Rabanne in una bolla fatta di plastica - e 2001 Odissea nello spazio (1968) con gli interni futuribili della stazione spaziale"
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.21
"Se negli anni ’50 l’impiego pionieristico dei polimeri era stato caratterizzato da una forte
sperimentazione tecnico-produttiva - necessaria per controllare appieno le prestazioni che i vari tipi di plastiche potevano fornire - negli anni ’60 si accentuò una sperimentazione linguistico-formale, realizzata grazie ad un loro impiego spregiudicato.
La causa razionalista del “buon design” era superata dal potere seduttivo dei nuovi oggetti resi possibili dall’uso creativo di questi materiali: dalla poltrona gonfiabile Blow diDe Pas, D’Urbino e Lomazzi (mirabile incrocio tra un canotto e l’omino Michelin),alla poltrona Sacco di Gatti, Paolini e Teodoro (quella sulla quale il terrorizzato Fantozzi non riusciva a stare seduto davanti al suo capoufficio).
 De Pas, Lomazzi e D'Urbino, Blow, Zanotta, 1967
Gatti, Paolini e Teodoro, Sacco, Zanotta, 1969
Manifesti di un nuovo modo di sedersi, di abitare, di vivere, resi possibili dall’uso del PVC termosaldato per Blow e di piccole sfere di Polistirene preespanso per Sacco.
“Voglio dirti una parola sola: Plastica! L’avvenire del mondo è nella plastica”
Questo l’ammonimento che un anziano amico di famiglia dava ad un giovanissimo Dustin Hoffman nel film Il Laureato (1967), che racchiude l’atteggiamento di quegli anni verso le plastiche, in America come in Italia...
... Erano gli anni nei quali la sicurezza ambientale, lo smaltimento dei rifiuti, la compatibilità, non occupavano il centro del dibattito. Si approfittava di tutte le semplificazioni, i miglioramenti, i risparmi che le plastiche consentivano, senza porsi troppe domande."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.22
cfr.: One Word: Plastics (da YOUTUBE.COM scena da "The Graduate" di Mike Nichols, 1967), e Il futuro è nella plastica - Abatantuono  ( da YOUTUBE.COM scena da "Nel continente nero" di Marco Risi, 1992).
“Troppo sovente non si tenne conto del fatto che i pregi e i difetti d’un materiale sono le due facce d’una stessa moneta, la quale va spesa con senso dell’opportunità da afferrare, ma anche con ilsenso del limite da rispettare. Chi eluse questi semplici ma fondamentali criteri contribuì in modo talora perverso, ed in misura non sempre decente, a scambiare la sostituzione con l’imitazione; e soprattutto a trasformare una possibilmente lecita invasione di materiali nuovi in una loro insopportabilmente illecita invadenza”
Augusto MORELLO “Design, tecnologie e polimeri” in Augusto Morello e Anna Castelli Ferrieri, Plastiche e Design, Arcadia edizioni, Milano, 1984.

Gino Bramieri pubblicizza casalinghi in Moplen, 1967
Il giovane Gino Bramieri, già attore affermato e conosciuto al grande pubblico per la sua simpatia, magnificava, nei Carosello del ciclo "Quando la moglie non c'è", le caratteristiche e prestazioni di questo nuovo prodotto dell'industria italiana. "e mò, e mò, e mò, Moplén" introduzione del minifilm con cui si reclamizzava il prodotto, sarebbe diventato un vero e proprio tormentone e l'ammonimento "ma signora, badi ben, che sia fatto di Moplén!" dava indicazione sulla scelta attenta di quello che era un prodotto totalmente Made in Italy
Fu scelto un attore "popolare" che trasmettesse simpatia, ma allo stesso tempo sicurezza e familiarità, inoltre, per la prima volta, si assisteva all'inversione dei ruoli della famiglia. L'uomo in casa a svolgere le faccende domestiche e la moglie fuori a lavorare... e quando la moglie non c'è "mi tocca fare tutto da me!". Anticipo di quella rivoluzione sociale che avrebbe cambiato gli schemi e stravolto gli stereotipi nella famiglia italiana. 
Pubblicità di Moplen all'inizio degli anni '90
Questo cocktail, sapientemente studiato e prodotto da General Film, con la sceneggiatura di Leo Chiosso e la regia di Mario Fattori ed Edo Cacciari, incuriosì gli italiani a recarsi nei mercati per scoprire questo Moplen. Chi non ha vissuto quegli anni può solo immaginare la meraviglia negli occhi di quel popolo che veniva da anni austeri e viveva in case sobrie, nel vedere tutti quegli oggetti colorati, leggeri, pratici, resistenti, invitanti, disposti sugli scaffali, e lì pronti per essere acquistati a prezzi accessibili.
Quell'avventuroso casalingo di Bramieri sarà successivamente sugli schermi con una serie di sketch del ciclo "Gli Italiani visti da Gino Bramieri", in cui interpreterà diverse caricature dell'italiano "tipo" alle prese col Moplen, fino al 1967, quando il miracolo economico inizierà il suo declino.
Alcuni Caroselli dal canale Archivio Nazionale CinemaimpresaTV su YOUTUBE.COM 
Carosello "Quando la moglie non c'è!"
Carosello "Gli Italiani visti da Gino Bramieri"
inoltre cfr.: "E.M. Kartell (Enzo Mari e Kartell)" in:
            anche su: http://www.pau.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/___11776.pdf - 
Lezione 3 esito PIATTAFORMA 2 PARTE 2 - 2 XII 2011 - esito dei post sulla lettura e discussione dei testi in bibliografia (dispensa)
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(e Appunti per prox Lezione) 
http://www.pau.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/___11651.pdf - 
Lezione 3 esito PIATTAFORMA 2 PARTE 1 28 XI 2011 - esito dei post sulla lettura e discussione dei testi in bibliografia (dispensa)
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Nylon: figlio di una famiglia eclettica

Ogni polimero sintetico ha un proprio nome, ma è spesso commercializzato con prodotti di fantasia, generalmente di proprietà dei produttori. Nylon prima fibra organica artificiale è il nome commerciale della Du Pont de Numeros ad una resina poliammide ottenuta nel 1938 da Wallace Hume Carotheres. Il nome deriva dalle iniziali dei nomi delle mogli dei ricercatori coinvolti nel  progetto: NancyYvonneLeonellaOlivia e Nina. Il Nylon venne utilizzato nella II guerra mondiale per la realizzazione dei paracadute, così come si diffuse la convinzione  che derivasse dalla frase Now You Lose Old Nippon"
(Cecilia Cecchini, Plastiche: I materiali del possibile/ Polimeri e compositi tra design e architettura, Alinea Editrice s.r.l. - Firenze 2004
, pag 39 - 
http://www.academia.edu/1405454/Plastiche_i_materiali_del_possibile._Polimeri_e_compositi_tra_design_e_architettura
Appartiene alla classe dei polimeri sintetici, chiamati anche poliammidi usati in special modo come fibre tessili. Ha molte caratteristiche: è tenace, resistente all’acqua, si presta a molti tipi di lavorazione. http://www.treccani.it/enciclopedia/nylon
Immagine1- formula chimica

da : it.wikipedia.org/wiki/Nylon





“Questo materiale fa parte di una famiglia mutante. Le tecniche di lavorazione e gli additivi, dunque, possono diversificare profondamente le prestazioni e l’aspetto dei polimeri, ciò complica non poco la loro identificazione. Lo Stesso polimero può risultare rigidissimo e compatto o elastico e spugnoso, così come totalmente opaco o perfettamente trasparente. Si realizzano con il Nylon le calze da donna o ancora, gli ingranaggi dei motori, le protesi ossee, i film per l’imballaggio alimentare, le pavimentazioni, gli airbag. Tutto con lo stesso polimero che assume le caratteristiche richieste: dalla morbidezza dei filati alla durezza delle rondelle alla resistenza dei paracadute.”
Cecilia Cecchini, op.cit.
Sono gli anni Cinquanta quando una nuova rivoluzione si espande subito negli Stati Uniti e in Europa, quella delle calze senza cucitura  e subito diventa quello  che le donne vogliono.
I progressi tecnologici rendono il nylon meno costoso e, dunque, più accessibile. Capostipite delle fibre sintetiche il  nuovo materiale, da poco inventato, che ben si presta per resistenza alla fabbricazione delle calze. Una vera svolta, quest’indumento di moda è  irrinunciabile per moltissime donne.
In questo modo venne creato un accessorio utile, resistente, facile da gestire e in una fibra che contrariamente alla seta o altro tessuto lo rende anche più economico. Il bello del collant è la capacità di coprire totalmente gambe e glutei, proteggere dal freddo, con una vestibilità massima e semplice. Molte donne trovarono subito i collant molto più comodi delle calze, firmando così il declino delle calze e del reggicalze.
Il Collant spopola, soprattutto quando Mary Quant inventa la minigonna ed è subito un delirio delle fashioniste dell’epoca. E’ il 1965 l’anno di nascita della minigonna e per i collant è un vero e proprio trionfo! È la rivoluzione della moda e del costume. Le stelle più celebri ed ammirate del cinema e delle passerelle consacrano i collant come arma di seduzione.
Le gonne si accorciano e non c’è il rischio di avere calze e reggicalze a vista, il collant liscio e di vario spessore copre e non mostra. Il collant coprente s’impone come nuovo argomento di moda, frutto dell’incontro fra la tecnologia della maglia su circolare con i nuovi filati di nylon testurizzato fino ad arrivare alla Lycra. Nuovo filato sempre prodotto dalla Du Pont.
Pubblicità calze Cristian Dior


Passiamo agli anni ’60 quello che probabilmente è uno dei primi esempi di calza “griffata”: le Calze Christian Dior, la cui immagine, essenziale e ancora attualissima, è affidata alla splendida matita di René Gruau, grande illustratore che poi ritroveremo al servizio della Bemberg. Da notare, nel contesto del medesimo messaggio, l’abbinamento con il marchio della fibra “Delfion, prodotto dall’italiana B.P.D. (Bombrini Parodi Delfino): una media azienda chimica, forse più nota al pubblico per gli insetticidi e i prodotti per la casa, che, in quel periodo, era attiva anche nel campo delle fibre. 
Pubblicità calze Sisi
I mitici anni ’60 proseguono con le Calze SISI, che introducono, per la prima volta, l’uso dell’immagine fotografica al posto di quella pittorica: una elegante signora si confronta con la propria immagine sfocata, e letteralmente priva delle gambe, spiegando di essere diventata una donna elegante solo dopo aver adottato le calze SISI“…le mie gambe, motivo di tanta angustia, acquistarono d’un tratto un seducente risalto”. Nei messaggi della SISI è costante l’abbinamento con il marchio “nylon Rhodiatoce” e la donna è rappresentata sempre in atteggiamento di grande e compiaciuta soddisfazione, ora perché “Sa di essere ammirata…e questo la rende felice”, ora perché indossare calze SISI è un “inesprimibile piacere”.
 Pubblicità calzRhodiatoce
Anche le aziende che producono filati e fibre si dedicano alla comunicazione e alla pubblicità: negli anni ’60 la Rhodiatoce ribadisce la qualità della fibra con una propria campagna che rafforza l’immagine della marca, lanciando lo slogan “tutto il meglio è nylon” e attribuendo anche alle calze il marchio Scala d’Oro
L’immagine concentrata sulle gambe di una donna che scende da una Seicento a testimoniare un contesto di modernità e agiatezza che si poneva ai vertici del “lusso possibile” per il medio consumatore di quegli anni. Anche la Bemberg inizia la produzione del filo poliammidico, che, in omaggio al lago su cui si affaccia lo stabilimento, assume il marchio “Ortalion”.
http://calzediseta.wordpress.com/category/un-po-di-storia-delle-calze/page/2/

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