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DESIGN 2013/14 n 1 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-1.blogspot.it/

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DESIGN 2013/14 n 2 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-2.blogspot.it/

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DESIGN 2013/14 n 3 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-3.blogspot.it/

Ghirlanda Design

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INTEGRAZIONE LEZIONE 10

Gli appunti alla lavagna della Lezione 10 riguardano il tema "progetto", altro tema ancora una volta trattato, questa volta riferito all'esito Ghirlanda Design e a quello Grosery List.
inoltre il blog non mi consente di incrementare il banner Lezione 10 , ecco quindi il post:


lunedì 7 aprile 2014


* Impatto "plastico" con la modernità

molto bene, va nell'INTEGRAZIONE alla LEZIONE 10. cp 
Gli anni ’60 segnano l’inizio di una nuova era del design. Arriva la plastica, che con la sua facilità, economicità e versatilità di lavorazione, permette un design colorato, innovativo e alla portata di tutti. Applicato in svariati campi, quali design, moda, arte e arredo, permette la realizzazione di forme plastiche mai pensate prima, come fossero sculture colorate dalle innumerevoli funzionalità.
Così differente da tutti i materiali presenti nelle case degli italiani, la plastica desta sorpresa e curiosità!
  LA PLASTICA: ANNI CINQUANTA E SESSANTA. LEZIONI DI DESIGN.   (Puntata "LEZIONI DI DESIGN: GLI ANNI DELLA PLASTICA" a cura di Stefano CASCIANI e Anna DEL GATTO, 1999- http://www.raiscuola.rai.it/articoli/la-plastica-anni-cinquanta-e-sessanta-lezioni-di-design/6449/default.aspx)

E’ proprio quello che mostra il frammento tratto dal film Mon Oncle di Jacques Tati del  1958, in cui monsieur  Hulot, buffo e comico, si aggira nella casa del cognato e curiosando nella nuova cucina scopre, tra le tante novità, una caraffa in plastica che , cadutagli dagli mani, inaspettatamente rimbalza. Ancora più curioso continua a farla rimbalzare, giocandoci un pò come fosse una palla: ribalza sulla cucina, rimbalza sul lavello, rimbalza sul pavimento e sempre torna indietro intatta, ciò che invece non accade col bicchiere in vetro che finisce sul pavimento frantumato in mille pezzi!
Il video prosegue con un intervento dell'ingegner Giulio Castelli, fondatore della Kartell, “un'azienda italiana fondata nel 1949 a Noviglio, in provincia di Milano, che produce mobili e oggetti di disegno industriale ricercato in plastica.” (Dal web: http://it.wikipedia.org/wiki/Kartell)
Emerge immediatamente la grande potenzialità di questo nuovo materiale che consente di attribuire ai comuni oggetti di uso quotidiano qualità e praticità mai provati fino ad allora: uno scolapasta che prima era realizzato in acciaio ora assume una nuova forma più funzionale e pratica, come lo scolapasta di Gino Colombini del 1958.
                                                                                                                          
Spot Moplen


Bacinella Moplen
Famosi, divertenti ed estremamente diretti, i Caroselli di Moplen con GinoBramieri mostrano quanto possa la plastica aiutare anche nelle faccende di casa. La vecchia bacinella che si deforma al peso dell’acqua e per nulla pratica viene sostituita dalla bacinella di Moplen, resistente, infrangibile, poco deformabile e soprattutto leggera. Pensata nei minimi dettagli, presenta i manici ergonomici per una presa più comoda e affidabile.
Per noi, l’utilizzo di oggetti in plastica, rientra nella consuetudine di ogni giorno; siamo circondati da talmente tante plastiche multicolori e multifunzioni che non notiamo più che la sedia nello studio del nostro medico è un unico blocco scultoreo in poliestere rosso o che il posacenere cilindrico in pvc è il risultato di un mix sapiente di design, tecnologia e profonda conoscenza di quel materiale senza il quale quell’oggetto non si sarebbe potuto realizzare.
Pubblicità Artemide 2007
Ma questi filmati ci mostrano quanto invece sia stata sconvolgente e rivoluzionaria la scoperta della plastica e il suo utilizzo nella produzione sia di oggetti comuni che di oggetti ricercati.
Inizialmente, la plastica viene utilizzata solo in ristretti ambiti quali industria automobilistica o nel campo dell’imballaggio come afferma, nel video iniziale, l' industriale e designer Ernesto Gismondi, raccontando la sua esperienza. Infatti nel suo lavoro di ingegnere missilistico, il materiale plastico veniva utilizzato per costruire le console di comando dei lanci dei missili e notandone le grandi qualità, l’ingegnere pensò di impiegarlo nella produzione dei mobili di plastica colorata, liscia e lucida per Artemide. "Fondata da Ernesto Gismondi e Sergio Mazza nel 1959, è una azienda specializzata essenzialmente nella produzione di accessori per l’illuminazione quali lampade e lampadari. "(Dal webhttp://it.wikipedia.org/wiki/Artemide_(azienda))
Laminati in vari colori e fantasie
L'utilizzo delle resine porta alla creazione di un altro materiale plastico: il laminato. E' conosciuto anche con "il termine fòrmica che identifica l'omonima storica ditta produttrice, la Formica Corporation, fondata nel 1913 da A. Herbert  e Daniel J. O'Connor, a seguito della loro invenzione del laminato ad alta pressione, che nella sua prima forma era utilizzato come isolante elettrico. [...]E' composto da uno strato protettivo o di finitura esterno detto overlay solitamente impregnato con resine melamminiche, un foglio con una stampa decorativa o colorato a tinte unite (anch'esso impregnato con resine melamminiche) ed un retro composto da uno o più strati di carta fenolica chiamato kraft. [...] Se il laminato ha un buon overlay resiste molto bene anche a solventi aggressivi, acidi, ammoniaca e strofinamenti." (Dal web: http://it.wikipedia.org/wiki/Laminato_plastico )
A tinta unita o con le più svariate fantasie, il laminato plastico per la sua facile pulibilità e resistenza al graffio viene indirizzato in molteplici impieghi: arredi, piani da lavoro, pavimenti.  Anche Ettore Sottsass si mostra interessato a questo resistente materiale: "Cercavo un materiale che annullasse non solo la mia presenza fisica negli oggetti che progettavo ma anche sentimentale: un materiale astratto che fosse in grado di sottrarsi all’ emozione artigianale e artistica. Io, e con me molti altri in quegli anni, eravamo interessati al disegno di un mondo astratto, un mondo al quale quasi noi non partecipavamo, un mondo non «firmato». Il laminato era un materiale che poteva servire molto bene a questo scopo. E in effetti ha funzionato. Anche linguisticamente il laminato era considerato un materiale povero adatto per bagni e cucine, a me interessava portarlo a livello di qualità. L’idea mi è venuta perché a Milano negli anni Sessanta andavo sempre in una latteria, che era vicino alla casa dove abitavo, tenuta da una vecchia coppia e frequentata da mamme e bambini; era arredata con mobili in laminato e alluminio, credo degli anni ’50: avevano una grazia, suscitavano una tene-rezza… Ho pensato che il laminato potesse diventare un materiale per la poesia. Forse se non fosse stato per la latteria non mi sarei interessato al laminato." (La plastica negli anni delle utopie, Ettore SOTTSASS in un intervista a Cecilia  CECCHINI,  http://www.academia.edu/1405454/Plastiche_i_materiali_del_possibile._Polimeri_e_compositi_tra_design_e_architettura)
Roland Barthes
"[...] Roland Barthesnel 1957, [...] afferma: "La plastica, più che una sostanza, è l’idea stessa della sua infinita trasformazione, è, come dice il suo nome volgare, l’ubiquità resa visibile; e proprio in questo essa è una materia miracolosa: il miracolo è sempre una conversione brusca della natura. La plastica resta tutta impregnata in questa scossa: più che un oggetto essa è traccia di un movimento"."
(Roland BARTHES, La plastica, in Miti d’oggi, Einaudi, 4a ed., Milano, 1974, pp. 169-170, citato e trascritto in  http://www.materialdesign.it/it/materiopedia/plastica_11_6.htm)
E in questa "scossa miracolosa" vediamo nascere la nuova casa degli anni '60, una casa completamente differente da quella finora vissuta: colorata, funzionale e leggera, dagli arredi ai piccoli oggetti di uso quotidiano. Senza alcun dubbio, un materiale apparentemente così semplice, quale laplastica, ha rivoluzionato non solo le case ma anche le vecchie abitudini e il modo di vivere.
Siamo diversi e anche gli oggetti devono essere diversi."
(Gaetano PESCEEstratto dal video LEZIONI DI DESIGN: GLI ANNI DELLA PLASTICA,)

venerdì 11 aprile 2014


* con Paco Rabannenon c'è più l'"illusione del tessuto"

visto il poco tempo che ha Simona per chiudere il post, ho scelto di correggere io qualche imprecisione. il post va molto bene, va nelle INTEGRAZIONI della LEZIONE 10 grazie al testo e alla documentazione fotografica molto interessante. ho modificato il titolo, anch'esso preso dalle citazioni del post, invece di Paco Rabanne, il "sarto metallurgico": con Paco Rabanne non c'è più l'illusione del tessuto
cp
"Con la contestazione cominciò a diffondersi l'idea di un vestire più comodo, informale e meno elitario, e quindi contrario ai principi di distinzione, di stile e di lusso che avevano caratterizzato le creazioni dei grandi sarti. La moda stava diventando un fenomeno di massa che interessava i mercati internazionali e solo in piccola parte era riservata ad una elitè ricca ed esclusiva.
Lavorazione a catena, capi dal taglio semplice e tessuti sintetici o misti, permettevano alle industrie di tenere i prezzi bassi, facendo sgretolare il primato della haute couture e il mito di Parigi."
Il giovane Paco Rabanne al lavoro
Questi sono gli anni della contestazione giovanile, anni di intenso fermento, di innovazione, che inevitabilmente si rifletteranno anche in un nuovo modo di vedere la moda.
‘Innovare’ è la parola d’ordine di un periodo che, mai come allora, ha visto legare a doppio filo moda e società, moda e attualità in modo quasi simbiotico
In questo clima del tutto nuovo, emerge la figura di Paco Rabanne.
Spagnolo di nascita (San Sebastiàn, 19 febbraio 1934), all’anagrafe Francisco Rabaneda Cuervo, ha la moda scritta nel destino, è infatti il figlio della prima sarta di Balenciaga.
Allo scoppio della guerra civile spagnola si rifugia con la famiglia in Francia, qui, negli anni 60 diviene noto comeenfant terrible del mondo della moda francese.
I suoi orecchini oversizesulla copertina di Vogue
"A Parigi si laureò in architettura: era affascinato dalla Pop Art, dal Dadaismo e dalle sculture in materiali innovativi come il neon, la plastica, il ferro e iniziò il suo percorso stilistico allontanandosi dalla tradizione, sulla scia di altri creatori di moda anticonformisti comeCourrègesSaint LaurentCardinUngaro."


Si inserisce nel mondo della moda cominciando a creare accessori (prima per il pellettiere Roger Model, poi per il calzaturiere Charles Jourdan) da molti considerati stravaganti, ma che attiravano l’attenzione delle più importanti riviste di moda.
Orecchini in plastica realizzati da Paco Rabanne, appartenuti alla scrittrice Fernanda Pivano (prima moglie di Ettore Sottsass)
Per le sue creazioni utilizzava il rhodoid, un materiale plastico, a basso costo, composto da acetato di cellulosa, colorabile e facilmente tagliabile, che consentiva di creare accessori del tutto innovativi, colorati e leggeri. Su tutti, i suoi orecchini oversize dai colori fluo, che in brevissimo tempo andarono a ruba, rendendolo famoso.
"Rabanne si pone sin dall'inizio l’obiettivo di lavorare con quei materiali che nessuno aveva considerato prima e che nessuno avrebbe mai osato far indossare a una donna. Così comincia a utilizzare carta, placche metalliche, catene di plastica, alluminio, pelle fluo e molti altri materiali improbabili."
Ago e filo vengono sostituiti da pinze e tenaglie.
Nel febbraio del '66, presenta a Parigi, all’ Hotel George V, la sua prima collezione :
 “12 vestiti importabili in materiali contemporanei” sfilano al suono della musica di Pierre Boulez, indossati da modelle scalze, e di colore (una cosa mai vista prima nell’alta moda).
La sfilata fu come un fulmine a ciel sereno per il mondo della moda parigina. 
Né la critica, né tanto meno i suoi colleghi, furono magnanimi con il giovane Paco, addirittura Cocò Chanel disse: “più che un sarto, quest’uomo è un metallurgico!”
Audrey Hepburn, in Paco Rabanne, nel film "Due per la strada"
"Convinto che la creatività non è seduzione ma choc […] lanciò una serie di vestiti pieni di accostamenti irriverenti: in carta, tessuti assieme a una trama di nylon e legati con bande adesive, in jersey di alluminio, in piume incollate a nastri. Per gli abiti da sera scelse sottilissimi tubi di plastica, mentre immaginò le sue spose vestite in rettangoli di rhodoïd opalescente. I pezzetti erano tenuti assieme da anelli metallici: non più ago e filo dunque, ma strumenti sartoriali quali pinze e ganci."
Jane Fonda, in Paco Rabanne, nel film "Barbarella"
"I miei modelli sono come delle armi" dichiarò a Marie Claire "quando sono chiusi si ha come l'impressione di udire il grilletto di un revolver". 
La cantante Francoise Hardy, abito in lamine d'oro e diamanti
Ben presto anche il mondo dello spettacolo cominciò a richiedere le creazioni di Paco Rabanne, una delle prime attrici ad indossare i suoi abiti fu Audrey Hepburn nel film “Due per la strada”. Creò poi per Jane Fonda un mini-abito in stile medievale, fatto in maglia di m
etallo, per il film Barbarella.
La cantante Francoise Hardy diviene la sua testimonial ufficiosa: nel 1968 le fece indossare un abito in lamine d’oro con incrostazioni di diamanti, che divenne uno dei suoi manifesti.
"Il moderno ha la faccia tosta, è insolente, sfascia le regole del lusso. È scandalo, è il nuovo. [..] Paco non si nasconde, non media, cerca una rottura. Provoca e plastifica la couture, il suo è uno stile che si fa sempre più fluido, contaminato. I suoi sono abiti-manifesto, non c'è più l'illusione del tessuto, il corpo cerca altre seduzioni".
... Per Paco la moda non segue la società, ma in un certo senso la riequilibra. «Quando l'economia va male le gonne si allungano e cresce la voglia di lusso, di materiali pregiati e costosi. Quando invece tutto va bene l'orlo si accorcia, si è più disposti a indossare un sacco della spazzatura». 
Schizzo del "Metal Dress" di Paco Rabanne, di Simona Cutrì

La cantante Francoise Hardy, abito in maglia metallica

"Paco Rabanne, metal dresses" : https://www.youtube.com/watch?v=kHiCcv5g0n8

*? Plastica: tutto ebbe inizio...

Marina fa in tempo a decidersi su corsivi sì e no e grassetti sì e non. per ora ho contato 42 errori - per ora, ma me ne saranno sfuggiti...
molto bene cmq, sarà inserito nell'argomento LEZIONE 10, ma dopo il test. cp
"Il legno marcisce, i metalli sono costosi, la pelle si sbriciola e il corno si deforma: da molto tempo l’uomo sogna di sostituire i materiali naturali con quelli artificiali, facili da produrre e lavorare, duraturi […]. Questo […] indusse gli alchimisti agli esperimenti più originali. […] Una resina venne sintetizzata già nel XVI secolo ad Augusta con la cottura ripetuta del formaggio magro, e venne utilizzata per la produzione di medaglie e stoviglie. […] L’alchimia pratica cedette il passo alla chimica teorica, che la tempo della rivoluzione industriale diventò la scienza chiave del XIX secolo."
Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard,  Atlante delle Materie Plastiche, Utet Scienze Tecniche, Milano, 2011, pag 10, da riga 3 a 26.
"La produzione delle materie plastiche iniziò alla metà del XIX secolo con la trasformazione chimica di materie prime organiche di origine naturale. Dopo una fase di sperimentazione si riuscì a migliorare alcune proprietà specifiche del materiale, in modo da poter progressivamente sostituire i prodotti tradizionali. […] Fino al termine del XIX secolo, la produzione dei prodotti plastici veniva effettuata con materie prime rinnovabili " (Manfred Hegger, Volker Auch-Schwelk, Matthias Fuchs, Thorsten Rosenkranz,  Atlante dei Materiali, Utet Scienze Tecniche, Milano, 2006, pag.90, da riga 1 a 19.e ancora oggi possono essere ancora ottenuti con tali materie, ma a costi elevatissimi.
Bottoni in galalite
 Tasti di un pianoforte in galalite
"La galalite è un materiale inventato nel 189creato a partire dal trattamento con formaldeide della caseina (la proteina del latte), tanto che spesso viene chiamata semplicisticamente caseina, anche se una tale indicazione non è assolutamente corretta in quanto la caseina indurita non presenta le caratteristiche di resistenza chimica e meccanica della galalite, il cui nome deriva dall'unione delle parole greche gala (latte) e lithos (pietra). […] Una delle caratteristiche più rilevanti di questo materiale è invece la facilità di colorazione, che consente di creare infinite variazioni ed imitare diversi materiali, tanto che veniva chiamato anche corno artificiale. La colorazione infatti, oltre al mescolamento dei colori nella fase di produzione, può essere ottenuta, grazie all'elevata porosità del materiale, in una seconda fase immergendo la galalite in bagni di colorazione per ottenere l'assorbimento dei pigmenti. Il nuovo materiale ebbe una grande diffusione nella produzione di bottoni, dove viene impiegato ancora oggi, e per la sostituzione dell'avorio nella copertura dei tasti di pianoforte. 
 Penne stilografiche Parker serie Ivorine
da: http://www.parkerpens.net/ivorine.html
[…] Parker adottò la galalite per la produzione delle stilografiche della serie denominata "Ivorine", anche se l'utilizzo più esteso venne probabilmente fatto dalla Conway Stuart per la produzione di alcune delle sue più originali penne colorate. La galalite non ebbe però un grande successo e venne rapidamente abbandonata con l'avvento della celluloide. La sua porosità infatti la rende fortemente igroscopica, con la tendenza ad espandersi con l'umidità, il che comporta problemi di stabilità meccanica. Ancora peggiore, sempre per questa caratteristica, la sua resistenza all'inchiostro, che tende a produrre macchie permanenti."  
Dal web: http://www.fountainpen.it/Galalite    
Giocattolo in parkesina
Prima palla da biliardo in celluloide di John Wesley Hyatt
da: http://www.enespe.org/about/presidents-letter
Produzione di palle da biliardo in celluloide, 1870
da: http://www.naturalmentescienza.it/ipertesti/ottocento/86069.htm
Lo sviluppo dellacelluloide pare sia nato da "un premio di 10.000 dollari per la produzione di palle da biliardo in un materiale artificiale che sostituisse l’avorio. La celluloide è essenzialmente composta dicellulosa, un polimero naturale che rende rigide le piante. L’aggiunta di una miscela di acido nitrico e acido solforico modifica la consistenza della cellulosa e dà origine alla nitrocellulosa[...] Alexander Parkers presentò all’Esposizione universale del 1862 di Londra un precursore della celluloide, la parkesina, che non ebbe alcun successo perché il materiale si crepava rapidamente." (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 10, da riga 37 a 53). Nel 1870 lo stampatore di libri John Wesley Hyatt, per partecipare al concorso per l'innovazione delle palle da biliardo, alla nitrocellulosa aggiunse come solvente la canfora, ottenendo la celluloide, considerata il primo polimero termoplastico. 


Bottone in celluloide, imitazione di madreperla, 1930
da: http://ibottonialmuseo.blogspot.it/2013_12_01_archive.html
"[...] Venne utilizzata […] come imitazione di madreperla, tartaruga e corno per pettini e ornamenti per capelli, giocattoli, occhiali […]. George Eastman, il fondatore della Kodak, produsse a partire dal 1889 pellicole di celluloide" (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 10, da riga 58 a 65.come supporto trasparente degli strati fotosensibili nelle pellicole fotografiche. È in cellulosa la pellicola trasparente detta "cellophane" ancora oggi diffusa come materiale per imballaggi.
George Eastman, 1888
Primi rullini Kodak, 1895
da: http://www.personalfoto.it/Storiafotografia%205bis.htm

"In base alla loro analisi chimica, l’atomo di carbonio presente a livello molecolare ne 
Telefono in bachelite
da : http://www.100casa.it/index.php?/archives/486-
Componenti-di-Industrial-design-n1.html
Pellicole di celluloide
costituisce l’elemento centrale comune. Esso forma lunghe catene, fondamentali per la struttura dei prodotti organici. Lo sfruttamento di questa conoscenza portò nel 1898 alla produzione dellaprima plastica interamente sintetica, creando un legame tra fenolo (ottenuto dal catrame di carbon fossile) e formaldeide. Senza cariche laresina fenolica è trasparente come vetro. Miscelata con altre sostanze e sagomata sotto l’effetto della pressione e del calore, portò alla realizzazione nel 1909 di un materiale resistente al calore, che non fondeva e non conduceva elettricità, da utilizzare in campo elettrotecnico per involucri e isolamenti. Questo primo polimero termoindurente è conosciuto con il nome di bachelite." Manfred Hegger, Volker Auch-Schwelk, Matthias Fuchs, Thorsten Rosenkranz, op.cit., pag.90 da riga 19 a 36.
"Come sostituto per la gommalacca […] il chimico belga Leo Baekeland sviluppò intorno al 1905 la bachelite, il primo materiale totalmente sintetico, in quanto ricavato da materie prime artificiali […], quali il fenolo, un prodotto di scarto dalla produzione di coke, e pertanto assai economico. La bachelite è un isolante elettrico e si infiamma solo a temperature dai 300°C, per cui è adatta a sostituire la gommalacca, che veniva soprattutto utilizzata nei primi apparecchi elettrici come strato isolante." (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 10, da riga 80 a 93). Venne pertanto usata per la produzione di massa di interruttori, apparecchi radiofonici e televisivi.
Rivista Kunststoffe, Germania,1911
Il termine "plastica" "venne utilizzato per la prima volta nel 1911 come titolo di una rivista specialistica"(Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 11, da riga 8 a 10.difatti denominata "Kunststoffe";ma la chimica dei polimeri che era alla base della produzione delle plastiche si sviluppò solo nei primi anni del XX secolo, ad opera di Hermann Staudinger, professore di chimica insignito per questo motivo del premio Nobel nel 1953. 
La più antica tra le plastiche di massa ancora diffusa sul mercato è il polivinilcloruro, PVC (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 11, da riga 53 a 54). Nata nel 1912 per sostituire un materiale facilmente infiammabile come la celluloide, trovò diffusione solo dopo la prima guerra mondiale, come rivestimento di cavi e tubi. 
"Le principali plastiche nacquero intorno alla metà del XX secolo, come il poliuretano (PUR) nel 1937; il silicone nel 1943; la resina epossidica (EP) nel 1946; il policarbonato (PC) nel 1956." (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 11, da riga 67 a 81.)
Gustave Miklos, lampada da tavolo in bachelite, Jumo Brevete, Francia, 1945 circa
"Le plastiche […] subito dopo il loro sviluppo entrarono nell’uso quotidiano[…]. Nel design industriale e nella produzione di arredi nacquero così forme fino a quel momento impossibili da realizzare".  (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 11, da riga 85 a 91). Un esempio è"la lampada da tavolo francese inbachelite Jumo Brevete del 1945". (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 12, da riga 1 a 2).  Ma un primo significativo impiego della plastica nella produzione di arredi  "[…] si ebbe a partire dal 1948 con Charles e Ray Eames che realizzarono le sedie a guscio in poliesteresagomato e rinforzato con fibra di vetrodel Plastic Shell Group[…] Nel 1962Robin Day sviluppò la Poliprop, una sedia estremamente economica con gusci di polipropilene realizzati per la prima volta con un successo di stampaggio a iniezione e gambe in tubolare di acciaio piegato".  Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 12, da riga 9 a 31.
Charles e Ray Eames, Rocking Armachair Rod di Plastic Shell Group, 1948
da: http://www.milandirect.com.au/rar-rocker-eames-reproduction/
Robin Day e  sedie impilabili Poliprop, 1962
da: http://www.nytimes.com/2010/11/20/business/20day.html?_r=0
"Le materie prime fossili come il petrolio […] si sono formate attraverso la decomposizione delle sostanze organiche. Carbonio eidrogeno si sono accumulati per milioni di anni sul fondo del mare […]. Con il processo di distillazione del petrolio greggio in raffineria le catene molecolari di lunghezza diversa vengono suddivise in frazioni singole come gas, benzina […]. Dalla benzina leggera ottenuta con questa tecnica (nafta) si producono attraverso una operazione di cracking idrocarburi non saturi […], tra cui etilene e propilene, entrambi gassosi, le sostanze di partenza più importanti per la produzione delle plastiche sintetiche. Oltre a carbone e idrogeno, le plastiche, in funzione del tipo, solvente contengono anche ossigenoclorofluorozolfosilicio,azoto[...] Per la produzione di plastiche si distinguono tre procedimenti che attraverso una reazione chimica (sintesi) legano i monomeri a formare macromolecole a forma di catena, ramificate o reticolate" (Manfred Hegger, Volker Auch-Schwelk, Matthias Fuchs, Thorsten Rosenkranz, op.cit., pag.91 da riga 2 a 53.) (i polimeri): polimerizzazionepolicondensazione, poliaddizione. Nella polimerizzazione polimeri sono composti da un unico monomero, come il polietilene (PE)polistirolo (PS)polivinilcloruro (PVC); nella policondensazione si formano macromolecole come ilpoliammide (PA), il policarbonato (PC), o il poliestere (PET); nella poliaddizione le macromolecole sono distinte in base alla loro struttura chimica nel gruppo di poliuretani (PUR) o delle resine epossidiche (EP). 
Microfono per radioamatore in resina fenolica, 1950
Secondo il grado di forza dei legami delle catene molecolari si distinguono:
termoplasticheelastomeritermoindurenti.
Le materie plastiche termoindurenti […] a differenza degli altri gruppi di plastiche vengono lavorate come prodotto primario liquido (resina di reazione).” Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 46, da riga 9 a 12.
“Con resina artificiale (o resina sintetica) si intende in genere un materiale viscoso, di aspetto simile alla resina vegetale, capace di indurirsi a freddo o a caldo. Si tratta in genere di un'ampia classe di differenti e complessi polimeri, che si possono ottenere con una grande varietà di metodi e materie prime. Fra le resine sintetiche più comuni citiamo le resine fenoliche, le resine acriliche, le resine epossidiche, le resine poliestere insature." 
Dal web: http://it.wikipedia.org/wiki/Resina_artificiale
Verner Panton, prima sedia impilabile Panton  in PUR espanso rigido 
Vitra, 1959      da: http://www.miliarredi.it/c/news
fenoplasti (o plastiche fenoliche, come la bachelite) "nascono dalla policondensazione di fenoloformaldeide e […] vengono utilizzati soprattutto quando vengono richieste temperature d’esercizio elevate, […] infatti in caso di incendio, rispetto agli altri materiali termoindurenti sono caratterizzati da una minore formazione di fumo ed emissioni tossiche inferiori. Le resine fenoliche sono opache, hanno un tipico colore giallo-marrone quindi possibile applicare quasi esclusivamente colorazioni scure ai prodotti finiti, tanto più che il materiale tende a scurirsi sotto l’effetto della luce. […] Le possibilità di lavorazione delle plastiche fenoliche sono molteplici, ad esempio è possibile iniettare le masse per stampaggio in stampi chiusi, le resine viscose (resine fenoliche) possono essere colate in stampi […]." Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 46, da riga 68 a 91.  
 Il poliuretano (PUR) ha “catene molecolari che vanno da lineari o non reticolate a reticolate a maglia stretta, il che li fa rientrare nei vari gruppi delle plastiche. Il PUR espanso flessibile è un esempio di elastomero, mentre il PUR espanso rigido e la vernice poliuretanica sono termoindurenti. […] Il poliuretano può essere lavorato come resina per colata con caratteristiche di durezza e di elevata elasticità." Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 47, da riga 98 a 109.  L’espanso rigido è "utilizzato come materiale isolante e per pannelli sandwich." Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 47, da riga 113 a 115.  Il PUR espanso flessibile è comunemente detto "spugna" o "gommapiuma"e viene impiegato per imbottiture per arredamento e imballaggio
Eero Aarnio, sedia per bambini in PUR espanso flessibilePony Mustang di Adelta, 1973
da: http://www.arredativo.it/2013/recensioni/salotto/poltrone-salotto/pony/
Le materie termoplastiche presentano un comportamento viscoso, possono fondere e sono riciclabili. […] La plastica diventa flessibile e malleabile. […] Rispetto ai materiali termoindurenti hanno una resistenza meccanica inferiore e una limitata resistenza alle alte temperature." Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 40, da riga 47 a 52. 
Pallone pneumatico in PVC, Connection Skin, Austria, 1968
Ilpolivinlcloruro (PVC) è il materiale di gran lunga più utilizzato in campo edile.
“Il polipropilene (PP) è la plastica comune, le cui proprietà sono essenzialmente simili a quelle del polietilene (PE) […] e anche la lavorazione è analoga […] :può essere stampato e saldato con facilità, ma è altrettanto difficile da incollare.[…] Viene usato per tubazioni, coperture, contenitori.”  Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 41, da riga 93 a 109. 
Il polimetilacrilato (PMMA) possiede eccellenti caratteristiche meccaniche e una particolare brillantezza; […] è antigraffio, […] è resistente agli influssi esterni, in particolare ai raggi UV."  (Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 42, da riga 35 a 45).  Impiegato per arredi, coperture.
Il polietilene tereftalato (PET) a partire dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso si utilizza in grande quantità per la realizzazione di bottiglie perché adatta al contatto con gli alimenti.
Cannucce in polipropilene (PP)
Riguardo agli elastomeri, "al momento circa un terzo" di quelli "prodotti nel mondo è a base di gomma naturale, che viene ottenuta dal succo di determinate piante (detto anche lattice). Le gomme sintetiche di origine petrolifera rappresentano la quota restante. […] Il materiale di base dell’elastomero viene definito gomma, indipendentemente dal fatto che sia di origine naturale o sintetica. Il passaggio del caucciù” (o gomma) “dallo stato fluido allo stato solido viene chiamato coagulazione ed è un processo […] di indurimento fisico. […] Al contrario delle termoplastiche, gli elastomeri non possono essere ulteriormente rammolliti dopo la conclusione del processo di reticolazione molecolare."  Jan Knippers, Jan Cremers, Markus Gabler, Julian Lienhard, op.cit., pag 44, da riga 36 a 68.

Marina Arillotta

Gae Aulenti, architetto designer, donna 

doodle di Google dedicato a Gae Aulenti & Pipistrello
post perfetto! va in bibliografia. ecco un'allieva che oltre le sue indiscutibili capacità, dimostra di aver letto, osservato e seguito temi, aspetti, linee e modalità del corso.
bravissima! ripeto: post interessantissimo, magistrale, una chiave  e resoconto del lavoro e l'esempio di Gae Aulenti e della nostra storia: ciò che siamo, che potremmo o dovremmo essere, ciò che non riusciamo ad essere. va in DEEPS Design: bibliografia di approfondimento.
inserisco il doodle di Google perché in aula a dicembre l'abbiamo, anzi l'avete ricordato: eravate in grado di riconoscere il riferimento. fu per me un momento di grande gioia e commozione.
cp
Gae Aulenti, architetto designer, donna
Foto 1
"La chiamavo la leonessa. La prima volta era capitato, se non ricordo male, a un convegno o in un' intervista. Qualche giorno dopo mi chiamò a Parigi. Sono la leonessa, mi disse con la sua voce arrochita dal fumo. Ridemmo.”[...]Renzo Piano conobbe Gae Aulenti quando lei era al Politecnico di Milano, assistente di Ernesto Nathan Rogers. "Erano i primi anni Sessanta, io lavoravo già con Franco Albini, ma per la cattedra di Composizione, tenuta da Rogers […].La incontrai allora". Una donna in un mondo maschile. […]  Avete mai lavorato insieme? “No. Il suo stile in architettura non è il mio. Ma la considero comunque una maestra per il suo metodo professionale, per la cura dei materiali, del dettaglio. E poi per la sua presenza civica, per il modo in cui le sue competenze erano al servizio di una causa civile” […] “E poi mancherà la sua presenza civica. Il suo impegno politico, le sue battaglie per una città giusta e pianificata?[…] “Direi che Gae aveva un tratto che andava oltre lo schieramento politico. Era, appunto, civismo. Una virtù poco praticata. Forza ed eleganza insieme. Una vera leonessa.
(Francesco Erbani, Renzo  Piano: hanno provato a farci litigare ma per me lei sarà sempre la leonessa”, la Repubblica, 02 novembre 2012, 38 sez. cultura http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/02/renzo-piano-hanno-provato-farci-litigare-ma.html )
Gaetana Aulenti, detta Gae,  nasce in provincia di Udine, a Palazzolo della Stella, il 4 dicembre del 1927, da una famiglia di origini meridionali, papà commercialista di origini pugliesi e madre napoletana, Gae Aulenti inizia a frequentare il Liceo artistico di Firenze, ma poi torna al Nord dove studia privatamente. "Prestavo allora dei piccoli servizi alla Resistenza,[…]si fidavano di me e qualche volta portavo fuori dai blocchi le missioni inglesi fingendo di andare in camporella. A Biella ero amica di due sorelle ebree che sparirono da un giorno all'altro. La coscienza civile nacque lì".(Da: Ansa, “Gae Aulenti, le sue opere più famose”, Panorama, 02 Novembre 2012, http://cultura.panorama.it/arte-idee/gae-aulenti-morta-architettura-opere)
“L'architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di nulla". 
Una frase emblematica pronunciata dall'architetto Gae Aulenti,[…] che mostra, la sua ironia, la sua grande umanità e la sua proverbiale timidezza. (Da: Espazium, “In ricordo di Gae Aulenti”, 01 novembre 2012,https://www.espazium.ch/archi/news/ricordo-di-gae-aulenti )
Foto 2
Scomparsa lo scorso novembre 2012 all’età di 84 anni, Gae Aulenti rappresenta una delle figure centrali della ricerca architettonica della storia contemporanea. […]Maestra della linea, la Aulenti si è distinta nel campo dell’allestimento e del restauro architettonico, nell’architettura d’interni, specializzandosi in design industriale, e in campo urbanistico. Allieva diErnesto Nathan Rogers, aveva ereditato pienamente il suo insegnamento, al punto da considerare arredamento e urbanistica come gli estremi dell’attività di un architetto moderno. Non a caso l’attività della ‘Signora dell’Architettura’ ruotava attorno a queste due polarità ,ottenendo riconoscimenti in entrambi i campi, dall’architettura, al design e alla progettazione degli spazi. Alla fine degli anni ’60, l’architetto e designer italiana firmava due negozi, a Parigi Buenos Aires, e cominciava così a far conoscere nel mondo il suo nome e il suo stile, associandolo a una delle aziende più illuminate del tempo, l’Olivetti. Designer di grido, divenne scenografa di Luca Ronconi, costumista per il Wozzeck di Alban Berg alla Scala, musa di Karlheinz Stockhausen e alla fine venne promossa “interior decorator” di casa Agnelli. Severa e rigorosa, maschile nei tratti, i capelli tagliati come quelli dell’Auriga di Delfi, in Francia la chiamavano la “Magicienne des formes”, miscelatrice di simmetrie e asimmetrie.”‘Dal particolare al generale, dal cucchiaio alla città” era il motto del maestro Ernesto Nathan Rogers, e lo fece suo. (Di: Clara Salzano, “La mostra tributo di Gae Aulenti al Triennale Design Museum”, 8 maggio 2013, http://www.fanpage.it/la-mostra-tributo-a-gae-aulenti-al-triennale-design-museum/ )
Dalla matita di Gae Aulenti sono nate opere come il Museo d’Orsay di Parigi

Il museo parigino è famoso per tre motivi: uno perché ospita i maggiori esponenti dell’impressionismo pittorico come Edouard Manet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Vincent Van Gogh. Il secondo motivo è perché si trova di fronte al famigerato Louvre. Il terzo perché è stato creato da un architetto italiano, un architetto donna.  (Da: 9colonne, “Gae Aulenti, l’architettura è donna”,http://9colonne.it/adon.pl?act=doc&doc=50458#.UsWs1fTuJ8E  )
Foto 4
Del singolare percorso di Gae Aulenti nella storia del design industriale, rimangono tracce indelebili come la sedia a dondolo Sgarsulv  prodotta nel 1962 da Poltronova (foto 4) o il tavolino in vetro con rotelle disegnato nel 1980 per Fontana Arte (foto 5) o ancora la lampada da tavolo Pipistrello per Martinelli Luce (1963, foto 6). Ha lavorato fino all’ultimo e tra i suoi ultimi progetti ci sono quello per l’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo (2006), la ristrutturazione e       ampliamento dell’aeroporto San Francesco d’Assisi di Perugia e, recentissimo, il restyling dello storico Palazzo Branciforte, nel cuore del centro storico di Palermo, restaurato e restituito alla città come polo culturale e polifunzionale. 
Foto 5
Foto 6









(Da: Leonardo, “Con Gae Aulenti se ne va un simbolo dell'architettura italiana”,http://www.leonardo.tv/articoli/con-gae-aulenti-se-ne-va-un-simbolo-dellarchitettura-italiana/)
“Bisogna progettare per un senso collettivo, non per una blasfemia individuale”
( Gae Aulenti, da: Alberto Apostoli, “86° Anniversario della nascita di Gae Aulenti” , Il blog di Alberto Apostoli, 04 dicembre2013,http://www.albertoapostoli.com/blog/news/86-anniversario-della-nascita-di-gae-aulenti)
G.L.R. Parliamo di design. Lunedì 3 maggio nello studio del suo amico architetto Emilio Battisti si è parlato di design conAlessandro MendiniAlberto Meda e Enzo Mari […]Il primo ha dichiarato che Oggi il disegno industriale non ha più alcun valore, di parere diverso Meda: Non è vero. L’oggetto industriale riesce ancora ad emozionare. Il più critico è stato Mari: Il design è finito, si è ridotto a quattro carabattole, non siamo capaci di fare più niente, dobbiamo abbassare la testa, lo sguardo e lavorare, dobbiamo lavorare come chi fa i prosciutti in una fabbrica, scendere dal piedistallo ed essere concreti. Lei che cosa pensa del design di oggi?  
G.A. Oggi i giovani lavorano molto, ma lavorano sulle immagini… come le archistar. Fanno tutto in stile. È tutto decorazione, non c’è più il disegno di una lampada o di una sedia prodotta dall’industria. Insomma questo Novembre –Fabio Novembre, designer e architetto nato a Lecce nel 1966 - ha fatto un culo di una donna – sedia Her, 2008 – ha in mente? Ecco allora io gli dico vaffanculo… tu scrivilo, se vuoi. […]Credono di essere furbi… 
 G.L.R. È una provocazione?                                                                                                                      
 G.A. No, è una stupidaggine. Va detto il nome vero di queste cose stupide. Sono stupidaggini.                  
 G.L.R. Come dovrebbe essere il design di oggi?                                                                      
 G.A. Vanno ricercate nuove forme, ma sempre pensando alla produzione, creare per un senso collettivo delle cose, non per un senso di blasfemia individuale…                                                        
G.L.R. E rispetto a quello che hanno dichiarato Meda, Mendini, Mari… lei come si colloca?     
G.A. Mari è un vero studioso e quando dice così protesta per come vanno le cose, però ha ragione. Mendini che è una persona molto intelligente e simpatica, ha sempre tentato di emergere e continuerà a farlo con la sua intelligenza e con le sue capacità.                                
G.L.R. Il disegno industriale esiste ancora?                                                                          
G.A. Non c’è più, ha perso un po’ il senso. Guarda che c’è anche un’altra differenza. Noi per esempio prima eravamo architetti che facevano design, oggi i designer non sono architetti quindi non hanno il senso dello spazio, non hanno un senso… una lampada va disegnata per uno spazio non per se stessa. 
 G.L.R. È importante la multidisciplinarietà?                                                                               
 G.A. È ancora il contesto del design, è ancora una questione di contesto sia fisico, nello spazio, che concettuale.
(Greta La Rocca, “Gae Aulenti -Bisogna progettare per un senso collettivo, non per blasfemia individuale-” , 24 giugno 2010, http://www.immobilia-re.eu/gae-aulenti-bisogna-progettare-per-un-senso-collettivo-delle-cose-non-per-un-senso-di-blasfemia-individuale-2/)
 “La luce è impressionismo”
A. Di cosa dovremmo parlare?
R. Potremmo parlare di luce, di cultura della luce, di luce e architettura di luce nell'architettura; tu lavori come designer e come architetto che rapporto c'è tra le tue lampade e le tue architetture?
A. Mah ...io non ho quasi mai disegnato lampade da sole, le mie lampade sono una conseguenza, io ho sempre disegnato lampade per luoghi specifici, alcune poi sono entrate in produzione...
 R. Non hai mai disegnato senza pensare ad un luogo?
 A. Poco… ho disegnato un sistema per uffici... i "Sistemi Tre", ma tu non la ricorderai, in genere le mie lampade sono legate a situazioni precise, a spazi e tempi di progetti d'architettura....
R. Allora sei una designer un pò casuale, un pò occasionale rispetto agli specialisti della luce, ai tecnologi dell'illuminazione...
A. Sì, anche se però c'è sempre alla base una riflessione sull'uso che comporta una riflessione tecnica, come per questa qui...
R. Quale?
A. Questa qui sul tavolo... si chiama... oddio non mi ricordo.... si chiama Pietra, è una luce che io considero una luce da ufficio,... non è una luce per lavorare, ma una luce per "parlare" intorno ad un tavolo, perché non sempre si lavora leggendo o scrivendo, si lavora molto anche parlando e allora ho pensato a una luce da ufficio per illuminare discretamente un colloquio...
R. Pensi più partendo da situazioni che da prestazioni tecniche o illuminotecniche?
A. Io penso che noi lavoriamo con tre cose: gli spazi, la luce soprattutto diurna, ma anche notturna, e l'architettura; poi c'è la luce come disegno, come strumento di puntualizzazione architettonica e la luce come fatto funzionale integrato come nei musei, dove fa parte della progettazione, non solo del desiderio, ma della necessità.[…]
R. Qual'è la prima lampada che hai disegnato?
A. La "Giova"(foto 7) che è un vaso su una lampada, una pianta sopra una luce, e poi la "Pipistrello" .

Foto 7
R. Che mi sembrano appartenere a due mondi diversi.
A. Perché?
R. La prima è una sovrapposizione di geometrie, tre bolle tutte trasparenti, quasi purista, la Pipistrello è invece quasi espressionista, molto disegnata un po’ neoliberty....
A. Neoliberty...mmh, non direi.
R. Dico neoliberty come rifiuto di linearità e di geometrie fredde, in fondo è una lampada calda con le ali nere un po’ animalesche...[…]
R. Parlando di design di lampade hai detto che è morto "l'abat-jour"...che cosa vuoi dire che non si può fare, non serve più...?
Foto 11
A. No, non è morto, l'abat-jour si può fare bisogna vedere come, perché il fatto è che con il Movimento moderno le luci sono diventate luci più dirette, piene, chiare, non mediate...direi quasi luci tecniche che non sprecano un lux; invece quello che si chiede e si chiedeva all'abat-jour è una luce corretta, mediata che vuol dire proteggerti dalla luce e non tanto moltiplicarla verso una direzione precisa con una funzione precisa. L'unica lampada moderna che si sia posta questo problema è stata quella di Noguchi, quella di carta, quella Giapponese.[…]
R. Vuoi dire che spesso è più utile vedere poco per...
A. Per indovinare molto, per immaginare, se non vedi i limiti di una stanza in penombra la puoi immaginare e sentire molto più grande.
R. Come ti senti rispetto all'evoluzione tecnologica nel campo illuminotecnico[…]?
A. Non mi interessa tanto...voglio dire che l'avanzamento tecnologico ha una sua necessità fondamentale ma non credo che una attenzione preminente a questo mondo faccia automaticamente nascere forme nuove. […]E poi credo che il vero protagonista involontario di questo "avanzamento" tecnologico sia il dimmer...
R. Il dimmer?
A. Sì perché con le nuove tecnologie è tale la quantità di luce che può uscire da queste microlampadine che alla fine è sempre troppa a allora giù coi dimmer per ridurla perché abbaglia è troppo sparata, si vedono le rughe in faccia, non aiuta la concentrazione... e invece il progetto luminoso è un progetto di mediazione, di sottrazione.
R. Quindi vorresti fare lampade che fanno poca luce?
A. Vorrei fare delle lampade che anche se ne fanno un po’ meno vadano bene lo stesso.
R. Come ti muovi tra i due estremi contemporanei del design minimale e di quello espressivo estroverso?
A. Dunque, io cose minimali è molto difficile che ne faccia perchè io non ricerco il minimalismo ma semmai la semplicità che è una cosa molto differente. Voglio dire che non è che con delle forme espressive tu non riesca a raggiungere la semplicità, anzi io credo che questa sia la cosa più difficile e più bella da raggiungere. Il minimalismo non mi interessa e non mi appartiene perchè io ritengo che un oggetto debba parlare forte di un linguaggio possibile per raggiungere il maggior numero di persone...anche se poi ne raggiunge sempre la metà.
R. Però il tuo tavolo di vetro con le ruote è minimale , è quasi un azzeramento di linguaggio, come lo spieghi?
A. Non lo spiego, è un'idea che quasi non ho cercato e stata l'intuizione di un giorno che in fabbrica in Fontana Arte ho visto trasportare le lastre di vetro su dei piani di legno con ruote industriali, e ho pensato che si poteva togliere il legno e c'era un tavolo già fatto, è stato quasi obbligatorio, direi un atto di "non disegno" non un disegno minimale voluto. Infatti non ho mai fatto più niente di simile; perché ho una attitudine più sperimentale legata alle cose, al vedere cosa succede lavorando su materiali diversi , sia vecchi che nuovi... La mia caratteristica è quella di disegnare molto, forse troppo, mentre il minimalismo è concettuale lavora più sulle idee quasi che la materia sia un accidente... […]
R. E la casa?
A. Cosa vuoi sapere?
R. Nella casa nell'ambiente domestico come entra la nuova tecnologia, l'evoluzione illuminotecnica? in fondo la vera rivoluzione nel design l'hanno fatta le lampadine.
A. Non saprei, io continuo a pensare che le nuove lampadine hanno anche deformato il discorso luminoso nelle case trasformandole in uno spazio con tanti punti di luce, che mi ricorda un po’ le processioni, le madonne; tante luci diverse come se per ogni funzione ci debba essere la lampadina, mentre poi sappiamo che una stessa luce cambia a seconda di quello che gli mettiamo attorno. Per esempio io ho sempre odiato quei faretti tecnici americani direzionali, che illuminano per punti invece di diffondere; appunto il contrario di quello che fa l'architettura con la luce. Io sono contro l'abbagliamento e tanto più nella vita quotidiana mi sembra che certe nuove luci hanno trasformato nei salotti la conversazione in un interrogatorio. […]
R. Insomma non bisogna dimenticare la vecchia tapparella?
A. Meglio ancora la persiana, è più semplice, e ricordarsi che di giorno una finestra è una bellissima lampada.
(Da: Franco Raggi, "Architettura e luce mediata. " Colloquio tra Gae Aulenti e Franco Raggi sulla luce in architettura, il neoliberty, i musei, il minimalismo, il teatro e le persiane”,  23 maggio 1991, http://www.apilblog.it/wp-content/uploads/2012/11/Intervista-Gae-Aulenti1.pdf )
Lampada Pipistrello 
L’humus in cui germina la lampada Pipistrello, disegnata da Gae Aulenti nel 1965 per Martinelli, è fervido. Gli anni '50 e '60 per l'esordiente architetto sono densi di esperienze ed iniziative. In realtà poca progettazione architettonica, ancora meno le realizzazioni, ma tante frequentazioni, influssi e collaborazioni e molto industrial design, in particolare nel settore illuminotecnico. […]Lanciata sul mercato nel 1967, la Pipistrello venne commercializzata in tutto il mondo, grazie alla visibilità che ebbe col 1972, quando non solo la Aulenti - che poté presentare oggetti di industrial design ed allestimenti- ma tutto il design italiano  (rappresentato nell'esposizione dai progetti più noti di Zanuso, Sottsass, Pesce, Sapper, Archizoom, ecc..) si affacciò alla ribalta mondiale: il merito fu della mostra Italy: The New Domestic Landscape, tenutasi al MoMA di New York. 
Il progetto della Pipistrello partì in sordina e per un anno rimase nei cassetti di Elio Martinelli. Difficile infatti, secondo i resoconti di Emiliana (la figlia di Elio) risultava l'industrializzazione del fusto telescopico, così come la forma complessa delle falde del diffusore, ad ali di pipistrello, che non era facile realizzare per gli stampaggi dell'epoca
Esemplare nella lampada della Martinelli l'approccio che Gae usava nella progettazione. Mai ‘regolare’ e con l'introduzione ogni volta di linguaggi nuovi, sorprendenti, spesso spaesanti. Nel progetto, dimostra di saper tessere legami sottili con il passato, inserendo nel contempo, elementi di discontinuità.

Il punto di partenza era l'archetipo costituito dal modello delle abat-jours Tiffany (foto 11) e quelle pre-Bauhaus, che però stravolge. Il risultato raggiunto appare stupefacente, perché la linea della lampada esprime una modernità ‘diversa’ ed inaspettata, affatto convenzionale: l’andamento sinuoso, curvilineo, vagamente flamboyant del fusto telescopico e del ‘cappello’, effettivamente non può non ricordare il profilo di alcune lampade liberty. Il risultato, come dicevamo, è qualcosa di mai visto prima; eppure con la Pipistrello, c'è da riconoscere che mai lampada moderna fu più neoliberty.


Recentemente, il designer friulano concordò con la Martinelli alcune variazioni della lampada - divenuta nel frattempo un'icona - con la base in finitura alluminiocromato lucido, satinato e rosso carminio, mentre la sua riprogettazione in scala minore, l'attuale Minipipistrello(foto13) è del tutto estranea all'architetto friulano, che a causa dell'aggravamento delle condizioni di salute, non fu informata. Un'attenzione alla funzionalità della Pipistrello originaria, che si rivela versatile per il suo doppio utilizzo, sia come lampada da appoggio che come lampada da terra e da lettura qualora si fosse sollevato il fusto attraverso il pomello imitante un bulbo ad incandescenza posto sulla sommità del diffusore.
Foto 15
foto 18
Inizialmente era stata pensata da Gae per l'illuminazione di alcuni spazi commerciali trovò ambito e giusto risalto nei negozi della Olivetti di Parigi e di Buenos Aires allestiti proprio da Gae in quegli stessi anni (1965 e '67) e la vediamo sopra gli espositori da lei disegnati accostata ad un'altra lampada, di poco successiva, King Sun di Kartellaltro suo progetto. Infine, da segnalare l'epigono della Pipistrello. Gae progettò nel 1974 per la Harvey Guzzini un modello che presentava una forte continuità col modello di 10 anni prima, la Quadrifoglio (foto 18), della quale mantenne la concezione della struttura in acciaio e diffusore in metacrilato, sempre ripartito in 4 falde. L'estrema fluidità delle forme e l'attenzione ad alcuni dettagli decorativi (l'andamento floreale del fusto sdoppiato in 4 bracci - che per morbidezza di disegno quasi non pare acciaio) ne fanno uno degli oggetti più compiutamente liberty ideati dalla Aulenti. E tra i più amati dal pubblico considerando il successo commerciale che fu duraturo, tanto, che fece propendere l'azienda a declinarla in altre tipologie (terra e sospensione). (Da: Lot, “Classici del design: lampada Pipistrello”, 08 dicembre 2013http://www.arredamento.it/forum/viewtopic.php?f=28&t=113970)
Fonti foto

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