piattaforma 1
DESIGN 2013/14 n 1 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-1.blogspot.it/

2
DESIGN 2013/14 n 2 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-2.blogspot.it/

3
DESIGN 2013/14 n 3 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-3.blogspot.it/

Ghirlanda Design

English version - click on

venerdì 28 febbraio 2014

* Quella plastica nostrana che colorò la vita quotidiana

*** OK non tocchiamolo più. cp
"All’inizio degli anni ’50, cominciarono ad arrivare in Italia una moltitudine di polimeri parzialmente o del tutto sconosciuti: PVC, Melammina, Polietilene, Polistirene, Nylon, Terilene, Lycra. “Arrivavano sul mercato in continuazione plastiche nuove, chi le aveva prodotte per usi bellici cercava di venderle anche per altri impieghi. Ma venivano fornite solo le loro caratteristiche e null’altro, non c’erano esempi di oggetti realizzati cui rifarsi; si sapeva che gli inglesi producevano delle belle bacinelle con il Polietilene… Comprarle e applicarle era un rischio, una continua sfida capire che cosa ci si poteva fare. Bisognava provare, sperimentare…."
(Anna Castelli Ferrieri, intervista rilasciata a Cecilia Cecchini, febbraio 2006, da: Cecilia CECCHINI, Splendori e miserie delle plastiche nel paesaggio domestico, 1950 – 1973, in Cecilia Cecchini, a cura di, mò...moplen, il design delle plastiche negli anni del boom, Designpress, Roma, 2006, pag 14.)
"Le plastiche arrivavano in un Paese semidistrutto, con alle spalle un ventennio da dimenticare, ma anche, anzi proprio per questo, un Paese in grande fermento, con un clima culturale caratterizzato dalla determinazione e dall’urgenza degli intellettuali di confrontarsi, di uscire dal letargo culturale del fascismo, di ricostruire materialmente e moralmente un mondo nuovo, diverso, migliore.
Per i progettisti del nascente disegno industriale si trattava di rispondere ad una domanda di modernità fino ad allora inevasa, in un mercato produttivo e in un circuito distributivo che doveva per buona parte essere reinventato.
Si trattava di costruire un linguaggio per l’industria, partendo dal vasto e prezioso bagaglio della cultura artistica e artigianale presente in Italia. Un linguaggio in grado di incidere sulla realtà del Paese in un campo – quello degli artefatti – più libero e immediato di quello dell’architettura e dell’urbanistica. Un linguaggio che poteva essere veicolato e riprodotto a buon mercato proprio sfruttando le potenzialità della nascente industria.
In questo quadro l’impiego dei polimeri – materiali nuovi, economici e versatili – fu la lungimirante risposta di alcuni giovani imprenditori, come Giulio Castelli, laureato in ingegneria chimica con Giulio Natta, che fondò la Kartell nel 1948 con la volontà di produrre oggetti di uso quotidiano puntando sulla qualità, sulla quantità e sul basso prezzo. E di aziende già esistenti, come quella fondata da Enrico Guzzini nel 1912 che passò dalla produzione manuale di tabacchiere in pregiato corno, a quella di oggetti in plastica, realizzando, già nel 1938, le prime posate da insalata in Plexiglas, materiale usato fino ad allora solo nell’industria bellica. O la Mazzucchelli di Castiglione Olona, fondata da Santino nel 1849 per la produzione di bottoni e pettini ricavati dalle corna di bue, che divenne un punto di riferimento internazionale per la lavorazione della Celluloide, del Rhodoid e, poi, di tanti altri materiali plastici.
O, ancora, la Ditta Pirelli fondata nel 1872 per la produzione di articoli in gomma”, che oltre ai pneumatici iniziò a produrre borse per l’acqua calda, suole per le scarpe, impermeabili, flaconi e un gran numero di semilavorati dalle prestazioni elastiche, come il Nastrocord, subito sfruttato da Marco Zanuso, insieme alla Gommapiuma, per la realizzazione delle poltrone Lady e Martingala  prodotte dalla Arflex."
Cecilia CECCHINI, op. cit.  pag 15-16.
Fiera Campionaria di Milano, Ingresso della Mostra Internazionale Estetica Materie Plastiche, 1956
da: http://archiviostorico.fondazionefieramilano.com/la-nostra-storia/1951-60.html
Era l'11 marzo 1954 quando, Giulio Natta e il suo team, nell'Istituto di Chimica Industriale del Politecnico di Milano, diedero vita al polipropilene (Nel 1963, Natta, insieme al chimico tedesco Karl Ziegler, fu insignito del Premio Nobel per la chimica, per la scoperta dei catalizzatori con i quali fu possibile creare il polipropilene.). Grazie all'intuito di Piero Giustiniani, manager della Montecatini, e quindi ai grossi finanziamenti stanziati, ottennero, a seguito della reazione di polimerizzazione del polipropilene, il polipropilene isotattico (PP-H), ribattezzato Moplen.
"Nel 1956 alla Fiera di Milano - promossa dalle riviste StileIndustria e Materie Plastiche, voluta da Alberto Rosselli con la consulenza di Gio Ponti – si svolse la “I Mostra Internazionale dell’Estetica delle Materie Plastiche”, dove furono esposti 160 oggetti prodotti in Italia, in altri paesi europei e negli Stati Uniti."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.19
Alberto Rosselli, Stile Industria, n.7 del Giugno 1956
da: http://www.modernism101.com/rosselli_stile_industria_07.php






















"Erano oggetti di varia natura, accomunati dal fatto di avere un disegno contraddistinto dall’uso appropriato del materiale.
In quella occasione apparvero evidenti le grandi potenzialità tecniche ed espressive delle plastiche, la possibilità di realizzare attraverso un buon design una loro immagine originale. E sembravano ancora più incongrue le produzioni imitative che ancora sopravvivevano."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.19
Fiera Campionaria di Milano, Sala Moplen (in occasione della prima presentazione al mondo), 1957
da: http://archiviostorico.fondazionefieramilano.com/la-nostra-storia/1951-60.html
 "La declinazione delle suggestioni formali delle plastiche si ebbe compiutamente negli anni ’60, ma questi materiali cominciarono ad entrare prepotentemente nelle case degli italiani già dalla metà degli anni ’50, modificando gli ambienti domestici, cambiando i gesti e i suoni della quotidianità, inventando nuovi oggetti adatti a soddisfare nuove funzioni.
La suggestione, il calore, la scabrosità e la sonorità dei materiali naturali furono in pochi anni rimpiazzati dalle impensabili forme delle plastiche, colorate, lisce, leggere, silenziose. Ed economiche, dunque accessibili, al contrario di molti prodotti dell’artigianato riservati ai ceti più abbienti. Le plastiche assecondavano una democratizzazione dei consumi che esplose attorno al 1958, indicato come l’anno dell’inizio del boom economico."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.19
Certo la plastica non era vista con simpatia da tutti, infatti negli anni cinquanta, il semiologo francesce Roland Barthes disse:
"Più che una sostanza, la plastica, è l'idea stessa della sua infinita trasformazione; è come indica il suo nome volgare, l'ubiquità resa visibile (…). Nell'ordine poetico delle grandi sostanze è un materiale sgraziato, sperduto tra l'effusione della gomma e la piatta durezza del metallo: esse non arriva a nessun vero prodotto dell'ordine minerale, schiuma, fibre, strati. È una sostanza andata a male: a qualunque stato la si riduca, la plastica, conserva un'apparenza fioccosa, qualcosa di torbido, di cremoso e di congelato, una incapacità di raggiungere la levigatezza trionfante della natura. E più di tutto la tradisce il suono che ne esce, vuoto e sempre piatto; il suo rumore la disfa, come anche i colori, perché sembra poterne fissare solo i punti chimici: del giallo, del rosso, del verde, prende solo lo stato aggressivo, servendosi di essi come di un nome, capace di mostrare soltanto dei concetti di colore."
citazione in Paolo PORTOGHESI e Giovanna MASSOBRIO, Album degli anni Cinquanta, Laterza Editore, Roma, 1977, pag.332.
Ma basta considerare gli arredi di Charles e Ray Eames o la serie Tulip di Saarinen per concludere che la plastica era invece disponibile ad assumere forme di una dignità pari a quella del legno e del marmo.
C. & R. Eames, Arredi (Soft Pad, tavolo riunione, tavolino, modern chair),
Miller e Vitra, anni 50 e 60
Vasca in Moplen
"Moplen, polimero termoplastico, era estremamente leggero (peso specifico 0.90, dunque filamenti e funi galleggiavano sull’acqua), resistente al calore (punto di fusione 176°, dunque superava l’agognata barriera dei 100° indispensabile per la sterilizzazione dei recipienti), possedeva ottime proprietà dielettriche (dunque adatto ad applicazioni in campo elettrico ed elettronico), facilmente plasmabile poteva essere estruso, formato sotto vuoto, stampato con spessori sottili e forme complesse, colorato in massa, saldato. Il Polipropilene è diventato così in pochi anni il materiale della 
quotidianità nella casa, ma cominciò ad essere impiegato in modo massiccio anche in agricoltura, nel settore elettromedicale, nell’industria.(Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.20) La produzione principiò alla fine degli anni '50, ma è negli anni '60 che questo nuovo materiale provocherà una vera e propria rivoluzione e che darà loro il nome di: “anni di plastica”.
Passapomodoro in Moplen
Spremiagrumi in Moplen
Tritacarne in Moplen
Imbuto in Moplen
Scolapasta in Moplen
Insalatiera in Moplen
Contenitore Alimenti Liquidi in Moplen
"Tra kitsch imitativo, improbabili pezzi

frutto della libertà progettuale consentita dalle plastiche, originali di famosi designer, copie prodotte in migliaia di pezzi e mirabili esempi di design anonimo, il paesaggio domestico 

intraprese in quegli anni una trasformazione senza ritorno, cui le plastiche contribuirono in maniera significativa."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.20 

"Anche il più piccolo laboratorio di falegnameria imparò in brevissimo tempo a costruire banconi da bar... che sembravano disegnati da Gio Ponti; la più piccola officina elettrica imparò subito a fare lumi che sembravano di Viganò; il tappezziere si sbizzarrì su modelli di poltrone che potevano simulare Zanuso. Questa sorta di saccheggio indiscriminato e dissacrante permise un rinnovamento formale di tutta la fascia media della società italiana: fu uno stile che sostituì definitivamente gli orpelli fascisti, l’Ottocento provinciale, che permise di configurare in maniera provvisoria ma completa una prima ipotesi di Italia moderna”
Andrea Branzi, citazione in, Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.17
Lella e Massimo Vignelli, Saratoga, Poltronova, 1964
da: http://www.centrostudipoltronova.it/it/saratoga/
"La plastica non era più sinonimo di prodotto atto a sostituire materiali nobili e naturali, ma veniva privilegiata per le sue virtù di resistenza, serialità e possibilità cromatiche. Addirittura si notava allora un ribaltamento di percezione e identità: i materiali naturali venivano camuffati da artificiali, esemplare in questo senso era il caso delle sedute Saratoga, disegnate nel 1965 da Lella e Massimo Vignelli per Poltronova, in cui il legno della struttura di base venne laccato in poliestere, e quelli artificiali diventano ricercati, come il Moplen che invadeva le case degli italiani in piccoli oggetti d’uso quotidiano, dalle stoviglie ai giocattoli, e perfino alcune componenti d’arredo venivano realizzati in plastica. "
Simona SCOPELLITI, Il design degli anni Sessanta e Settanta : un nuovo modo di intendere l'utenza, tra progetti di utopia radicale e impegno sociale , pag. 12 -http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1711/825991-126302.pdf?sequence=2 
Questa rivoluzione non fu soltanto stilistico-pratica, ma divenne una vera e propria rivoluzione sociale.
Sostituendosi all'acciaio, al vetro, al legno, alla bachelite, il Moplen rivoluzionò la vita degli italiani, di ogni ceto, dando colore e leggerezza a quegli strumenti che sino ad allora erano stati freddi ed anonimi compagni di lavoro delle casalinghe.
L'Italia divenne l'avanguardia in una nuova tecnologia, che era alimentata dal boom economico e che lo alimentò a sua volta, creando nuovi posti di lavoro e benessere economico.
Per chi sono i materiali nuovi? Per chi sono i prodotti del disegno industriale? I nuovi materiali sono stati lungamente guardati con sospetto, quando il pubblico disorientato si è chiesto: ma la plastica, cos’è? È ricca o povera, da salotto o da cucina? È per me, per noi, per loro o per tutti? Questo per tutti indubbiamente, ha spaventato. Coloro che non sapevano riconoscere un valore che ne catalogasse i requisiti rappresentativi, sono rimasti perplessi.
Certo è sempre difficile verificare l’importanza e la validità di concetti e di estetiche nuove soprattutto in casi come questo, quando il mercato ha cominciato per la prima volta ad offrire, senza alcuna discriminazione preconcetta, oggetti che avevano chiaramente una destinazione comune. Intendendo per comune, non quanto è ovvio e banale ma quanto è pensato e proposto ad un pubblico al quale si chiede un solo tipo di preparazione nell’accostarsi all’oggetto: di saperlo assimilare come espressione totale della propria civiltà. La plastica è materiale non per ricchi o per poveri, non per la massa o per l’elite. Ha delle precise caratteristiche tecniche che la rendono possibile per fornire oggetti che attraverso il suo impiego acquistano forme tali da determinare una nuova estetica
GRAMIGNA Giuliana, Plastica per la massa o per l’elite?, in “Ottagono”, n. 13, 1969

Già negli States, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il genio di Earl Tupper, utilizzando quel materiale flessibile, robusto, inodore e leggero, quale è il polietilene, diede vita ai Wonderbowls, coperchi ermetici che assicurano una perfetta impermeabilità e che rivoluzioneranno il modo di conservare i cibi invadendo le case di tutto il mondo. (Anche il modo di vendere, visto che l'azienda punterà proprio sulle capacità e la voglia di indipendenza economica delle casalinghe di tutto il mondo, per la diffusione del prodotto. Non c'era più il commesso che bussava porta a porta, ma si comprava direttamente dalla vicina di casa.)


"L’uso massiccio delle plastiche ha di fatto coinciso-contribuito al passaggio da una società
ancora di stampo contadino alla “società del benessere”. Nel bene e nel male esse assecondavano la corrente dell’evoluzione dei mutati e nuovi consumi, talvolta anticipandoli. Un processo che toccò il suo massimo negli anni ’60, di cui le plastiche furono le scintillanti e colorate icone.
Per comprendere appieno questo processo, l’impiego dei polimeri deve essere inquadrato nell’ambito delle più generali modificazioni che il design – neonata disciplina dalle funzioni ancora nebulose - operò negli anni ’50 sull’intero universo materico. Fu una rivisitazione che coinvolse anche i materiali più tradizionali - dai vimini alle ceramiche – inventando insospettabili valenze espressive."
Cecilia CECCHINI, op.cit.
"Le materie plastiche hanno assunto molte valenze nel corso degli anni. In alcune nazioni europee e americane le proprietà delle materie plastiche (come ad esempio l'economicità, la leggerezza, le infinite possibilità cromatiche) caratterizzavano soprattutto prodotti “poveri” e destinati ad un'utenza che non poteva permettersi di utilizzare i materiali naturali o quelli artificiali già nobilitati da decenni. L'intervento progettuale del designer, ha permesso in Italia di trasformare questi “difetti” in pregi e in qualità. La cultura italiana del progetto ha infatti saputo fornire alle materie plastiche un'ottima autonomia e un'identità propria che le ha sottratte al ruolo di imitazione di materiali “nobili” (come ad esempio l'avorio). Ha inoltre dato un “valore aggiunto” grazie al loro uso in oggetti non legati agli “stili” classici della tradizione.”
Nicoletta e Massimo SALA, Le geometrie del design, FrancoAngeli editore, Milano, 2005, pag. 148

Giancarlo Mattioli, Nesso, Artemide 1967
da: http://www.archiproducts.com/it/prodotti/94856/modern-classic-lampada-da-tavolo-in-abs-nesso-artemide.html


Gae Aulenti, Re Sole, Kartell, 1967
da http://www.eyeondesign.it/lampada-king-sun-di-gae-aulenti-per-kartell/
Il mondo della produzione cominciò ad usare "...i polimeri di Natta  per creare dei piccoli oggetti che rinnovarono il panorama domestico grazie e soprattutto alle loro nuove forme e ai colori inconsueti per quelle tipologie di oggeti (tinozze, secchi, pattumiere, contenitori per alimenti a chiusura ermetica, tazze, posate e insalatiere). Tutti colorati, durevoli, quasi indistruttibili, e facilmente lavabili. Negli anni '60 i prodotti in plastica hanno avuto un salto di qualità, grazie a una sempre più approfondita conoscenza delle caratteristiche e delle tecnologie di lavorazione di questi materiali. Si amplia così anche la gamma tipologica grazie ad usi più precisi ed intelligenti. Nascono nuovi prodotti, ma anche nuove e inedite versioni di oggetti legati alla tradizione. L'avvento dei materiali a iniezione ed espansi evidenziarono delle buone proprietà strutturali e degli insospettabili risultati formali, come ad esempio la sedia monoblocco in polistirene (1967) ideata da Panton. Di questo decennio è la lampada Nesso (1967), di Giancarlo Mattioli (Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova) per Artemide. È caratterizzata da una forma dolce e amichevole, tipica espressione dello spirito e del gusto del periodo in cui è stata progettata."
Nicoletta e Massimo SALA, op.cit,  pagg. 148,149.
"Nel corso degli anni ‘60 i polimeri furono i materiali d’elezione nell’assecondare le istanze del vivere “giovane”, informale, nomade. Tra ideali rivoluzionari, seduzioni consumistiche e nuovi miti, il potere comunicativo delle plastiche la fece da padrone: dai morbidi Poliuretani, al trasparente Acrilico, al lucido ABS. Mentre arrivavano anche in Italia da oltre oceano le suggestioni dell’era spaziale veicolate da film cult come Barbarella (1967) – Jean Fonda vestita da Paco Rabanne in una bolla fatta di plastica - e 2001 Odissea nello spazio (1968) con gli interni futuribili della stazione spaziale"
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.21
"Se negli anni ’50 l’impiego pionieristico dei polimeri era stato caratterizzato da una forte
sperimentazione tecnico-produttiva - necessaria per controllare appieno le prestazioni che i vari tipi di plastiche potevano fornire - negli anni ’60 si accentuò una sperimentazione linguistico-formale, realizzata grazie ad un loro impiego spregiudicato.
La causa razionalista del “buon design” era superata dal potere seduttivo dei nuovi oggetti resi possibili dall’uso creativo di questi materiali: dalla poltrona gonfiabile Blow di De Pas, D’Urbino e Lomazzi (mirabile incrocio tra un canotto e l’omino Michelin),alla poltrona Sacco di Gatti, Paolini e Teodoro (quella sulla quale il terrorizzato Fantozzi non riusciva a stare seduto davanti al suo capoufficio).
 De Pas, Lomazzi e D'Urbino, Blow, Zanotta, 1967
Gatti, Paolini e Teodoro, Sacco, Zanotta, 1969
Manifesti di un nuovo modo di sedersi, di abitare, di vivere, resi possibili dall’uso del PVC termosaldato per Blow e di piccole sfere di Polistirene preespanso per Sacco.
“Voglio dirti una parola sola: Plastica! L’avvenire del mondo è nella plastica”
Questo l’ammonimento che un anziano amico di famiglia dava ad un giovanissimo Dustin Hoffman nel film Il Laureato (1967), che racchiude l’atteggiamento di quegli anni verso le plastiche, in America come in Italia...
... Erano gli anni nei quali la sicurezza ambientale, lo smaltimento dei rifiuti, la compatibilità, non occupavano il centro del dibattito. Si approfittava di tutte le semplificazioni, i miglioramenti, i risparmi che le plastiche consentivano, senza porsi troppe domande."
Cecilia CECCHINI, op.cit., pag.22
cfr.: One Word: Plastics (da YOUTUBE.COM scena da "The Graduate" di Mike Nichols, 1967), e Il futuro è nella plastica - Abatantuono  ( da YOUTUBE.COM scena da "Nel continente nero" di Marco Risi, 1992).
“Troppo sovente non si tenne conto del fatto che i pregi e i difetti d’un materiale sono le due facce d’una stessa moneta, la quale va spesa con senso dell’opportunità da afferrare, ma anche con il senso del limite da rispettare. Chi eluse questi semplici ma fondamentali criteri contribuì in modo talora perverso, ed in misura non sempre decente, a scambiare la sostituzione con l’imitazione; e soprattutto a trasformare una possibilmente lecita invasione di materiali nuovi in una loro insopportabilmente illecita invadenza”
Augusto MORELLO “Design, tecnologie e polimeri” in Augusto Morello e Anna Castelli Ferrieri, Plastiche e Design, Arcadia edizioni, Milano, 1984.

Gino Bramieri pubblicizza casalinghi in Moplen, 1967
Il giovane Gino Bramieri, già attore affermato e conosciuto al grande pubblico per la sua simpatia, magnificava, nei Carosello del ciclo "Quando la moglie non c'è", le caratteristiche e prestazioni di questo nuovo prodotto dell'industria italiana. "e mò, e mò, e mò, Moplén" introduzione del minifilm con cui si reclamizzava il prodotto, sarebbe diventato un vero e proprio tormentone e l'ammonimento "ma signora, badi ben, che sia fatto di Moplén!" dava indicazione sulla scelta attenta di quello che era un prodotto totalmente Made in Italy
Fu scelto un attore "popolare" che trasmettesse simpatia, ma allo stesso tempo sicurezza e familiarità, inoltre, per la prima volta, si assisteva all'inversione dei ruoli della famiglia. L'uomo in casa a svolgere le faccende domestiche e la moglie fuori a lavorare... e quando la moglie non c'è "mi tocca fare tutto da me!". Anticipo di quella rivoluzione sociale che avrebbe cambiato gli schemi e stravolto gli stereotipi nella famiglia italiana. 
Pubblicità di Moplen all'inizio degli anni '90
Questo cocktail, sapientemente studiato e prodotto da General Film, con la sceneggiatura di Leo Chiosso e la regia di Mario Fattori ed Edo Cacciari, incuriosì gli italiani a recarsi nei mercati per scoprire questo Moplen. Chi non ha vissuto quegli anni può solo immaginare la meraviglia negli occhi di quel popolo che veniva da anni austeri e viveva in case sobrie, nel vedere tutti quegli oggetti colorati, leggeri, pratici, resistenti, invitanti, disposti sugli scaffali, e lì pronti per essere acquistati a prezzi accessibili.
Quell'avventuroso casalingo di Bramieri sarà successivamente sugli schermi con una serie di sketch del ciclo "Gli Italiani visti da Gino Bramieri", in cui interpreterà diverse caricature dell'italiano "tipo" alle prese col Moplen, fino al 1967, quando il miracolo economico inizierà il suo declino.
Alcuni Caroselli dal canale Archivio Nazionale CinemaimpresaTV su YOUTUBE.COM 
Carosello "Quando la moglie non c'è!"
Carosello "Gli Italiani visti da Gino Bramieri"

lunedì 24 febbraio 2014

*spot Capogrossi

*Pubblicità, arte e cultura popolare di massa


 B.Munari, 1964
La tecnologia […]negli anni Sessanta […] comincia ad essere considerata all'unanimità il simbolo del mondo moderno, perché permette di migliorare la qualità della vita e di abbreviare e di rendere meno faticoso il lavoro. È in questi anni che al modello industriale basato sull'uso delle macchine si affianca l'elettronica, che irrompe in modo massiccio nei paesi ad economia capitalistica determinando la nascita della società industriale avanzata. Da questo momento sarà la velocità elettrica, applicata ai congegni per l'automazione e ai calcolatori, a governare la produzione industriale, rendendo fluide operazioni un tempo parcellizzate e segmentate. Le novità tecnologiche, inoltre, contribuiscono al mutamento sostanziale di tutto il sistema sociale: grazie al grande sviluppo dell'informazione e della comunicazione di massa che divulgano i modelli, si verifica una circolazione senza precedenti non solo di oggetti ma anche di pensieri in grado di influenzare abitudini e stili di vita. […] È proprio grazie al buon livello estetico raggiunto dalla pubblicità che si diffonde, anche fra chi non è attento ai fatti dell'arte contemporanea, l'abitudine al confronto con le nuove forme d'espressione, rendendo più facile la penetrazione nel sociale dei contenuti della nuova cultura popolare di massa. […]
Nei manifesti di questi anni, gli orpelli del linguaggio, le didascalie informative e il troppo parlato del decennio precedente lasciano il posto all'impatto visivo del prodotto, che appare isolato, liberato dal contesto e ingigantito a dismisura […] I prodotti abbandonano il contesto di appartenenza, diventano immagini a se stanti che campeggiano nella loro nuova monumentalità di icone, spesso in forma di fotografia realista seppur ritoccata […] 
dal web:  http://www.storiaefuturo.com/it/numero_8/articoli/1_pubblicita-arte-italia~125.html

[…]I vecchi pubblicitari affermavano, e ancor oggi c’è chi è dello stesso parere, che un manifesto deve essere un pugno in un occhio.  E’ un modo di informare il passante, tutto intento a meditare sulla trasformazione formale e strutturale del bruco in farfalla, piuttosto violento e, come tutti sanno, alla violenza si cerca di opporre altrettanta violenza. […] Insomma il manifesto si deve nettamente staccare dagli altri manifesti, balzare fuori, colpire il passante e violentarlo.[…] Molti manifesti vogliono farsi sentire a tutti i costi anche se non hanno niente da dire di interessante e allora gridano con i colori, gridano con il formato e soprattutto gridano con la quantità. […] Le ricerche visive invece ci insegnano che basterebbe usare un certo colore insolito, una forma diversa, dare una informazione esatta e immediata per informare il passante, senza violentarlo, senza dover sprecare tanto denaro per l’effetto << quantità >>[…] Esiste uno schema di manifesto al quale spesso i grafici fanno riferimento, per l’efficacia visiva, ed è la bandiera giapponese: un disco rosso in campo bianco. 
foto 2 A.Testa, 1960
Perché questo schema così semplice ha molta efficacia visiva? Perché  il campo bianco isola e stacca il disco da tutto ciò che lo circonda, da qualunque tipo di manifesto e perché il disco è una figura dalla quale l’occhio non si stacca facilmente. Infatti l’occhio (lo sguardo) è abituato a fuggire dalle punte, come dalle punte della freccia, per esempio.  Un triangolo ha tre possibilità di fuga dello sguardo […] un cerchio non ha punte, angoli di fuga, e l’occhio è costretto a girare dentro al disco fino a staccarsene con uno strappo..[…] Un errore è invece il comporre un manifesto tagliando la superficie in parti diverse come colore e come interesse. Un manifesto così fatto si mimetizza con gli altri perché ogni parte nella quale è tagliato dalla composizione, si collega visivamente al manifesto vicino per cui, alle volte, succedono delle strane informazioni che oltre a confondere il pubblico, annullano l’efficacia del messaggio. […]
Bruno Munari, Arte come mestiere,  ed. Economica  Laterza, 1966 dal web: http://www.graficainlinea.com/
Contemporaneamente si comincia a coniugare l'ambito della comunicazione verbo-visiva nello slogan, nella frase o nella parola ad effetto in grado di entrare nel vocabolario quotidiano della gente […] In questo senso, importantissima sarà la vicenda di Carosello[…] Il 3 febbraio 1957, prima messa in onda di Carosello , non è soltanto la data che segna l'esordio della pubblicità in TV, ma è anche quella che sancisce la presa di potere del mezzo televisivo sugli altri media utilizzati dalla pubblicità fino ad allora […]

foto 3 A. Warhol, 1962
R. Lichtenstein, 1961
Anche l'arte subisce l'influenza dei media [...] In ambito americano Lichtenstein, Warhol, Rosenquist, Wesselmann, Indiana, sono coloro che compiono il passo decisivo verso un atteggiamento scevro da nostalgie legate alla sfera del privato, adottando un registro espressivo spersonalizzato, che punta all'immanenza dell'oggetto e alle sue qualità estetiche di piacevolezza, all'impatto visivo del prodotto nuovo fiammante, appena uscito dall'industria, o all'immagine fornitane da pubblicità e mass media […] Sono soprattutto gli artisti che lavorano sul versante iconico ad avere un contatto più diretto con il linguaggio espressivo e le tecniche adottate in pubblicità. Oltre agli espedienti tipici della cartellonistica del periodo, quali la decontestualizzazione, l'ingrandimento, l'isolamento di un dettaglio, gli artisti Pop nelle loro immagini estremamente astratte e semplificate simulano la perfezione tecnica della stampa o adottano direttamente le tecniche della fotolito-riproduzione, introducendo nel sistema dell'arte due concetti destinati ad avere molto peso negli anni a seguire: quello della serialità, che mette in crisi lo statuto di unicità dell'opera, e quello della spersonalizzazione dell'artista, che cessa di essere un artigiano, smette di sporcarsi le mani per devolvere alla produzione industriale e ai mezzi extra artistici la realizzazione del suo lavoro. Lo stesso Warhol ha più volte affermato di voler diventare una macchina, di voler assumere cioè su di sé le modalità produttive tipiche dell'industria, rimuovendo ogni traccia di emozionalità e di soggettività individuale […]

* La lista della spesa di Michelangelo - Linguaggio: parole, terminologia, segni. Comunicazione

"L'opera d'arte nasce dai segni, ma anche li fa nascere”da web: http://it.wikipedia.org/wiki/Marcel_Proust_e_i_segni

La lista della spesa di Michelangelo ci introduce al modo in cui un oggetto viene rappresentato, comunicato,  interpretato ma anche a come viene pensato, immaginato, realizzato e in seguito testato e verificato. 
Linguaggio: parole, terminologia, segni. Cos’è la semiotica? Scienza generale dei segni, della loro produzione, trasmissione e interpretazione, o dei modi in cui si comunica e si significa qualcosa, o si produce un oggetto comunque simbolico. 
 […] Da quando si conoscono le lingue scritte abbiamo la prova che gli esseri umani hanno affrontato la questione della semiotica. […] I segni (σημεια), prima di tutto, sono sentimenti dell'anima e sono uguali per tutti gli esseri umani. Quando questi sentimenti sono immagini, vale a dire le cose reali (πραγματα), sono ugualmente gli stessi per tutti. 
Aristotele definì le aree della semiotica:
Anima [ψυχη] psychi
Sentimenti  [παθηματα] pathimata
Cose [πραγματα] pragmata
Simboli  [συμβολα] symbol  suoni o segni / scritti […] ll famoso quadro di Magritte "Ceci n'est pas une pipe" è un esempio molto utile per spiegare l'idea di Aristotele. Perché ha detto, questa non è una pipa? Magritte mostra un simbolo di una pipa, non una pipa. Solo una pipa è una pipa. Anche la parola "pipa" non è una pipa, parola e immagine sono simboli di un oggetto, in questo caso la pipa, non l'oggetto stesso […]
Tommaso D'Aquino distingue tre scienze: Philosophia Moralis, Philosophia Naturalis e Scientia de signis.
"Scientia de signis "design is scientia"


Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) […] "Un segno è una percezione che consente la conclusione dell'esistenza di una non -percezione. Un segno può stare per una cosa (res) o un'idea (conceptio, idea, cogitatio)". Leibnitz ha visto l'importanza della semiotica come teoria dei segni visivi (per distinguerli dai segni verbali) e ha fissato le strutture più avanzate per una moderna educazione al design […]
Comunicazione:  dal latino communis, "comune a molti o a tutti", il termine comunicazione indica in generale l'attività del comunicare: esso si applica a ogni processo consistente nello scambio di messaggi o di informazioni, attraverso un canale e secondo un codice, tra un sistema (animale, uomo, macchina) e un altro della stessa natura o di natura diversa. [...]
“Un dizionario dei gesti italiani è divertente e utile, tanto più se pensiamo che gli italiani, appunto, sono conosciuti in tutto il mondo perché si esprimono, oltre che con le parole, anche con i gesti”
Bruno Munari  Il dizionario dei gesti italiani, Adnkronos Libri,  1994
[…] Lo sviluppo dei sistemi di comunicazione e di informazione ha conosciuto, negli ultimi due decenni del Novecento, un'accelerazione impressionante, destinata ad avere ripercussioni di grande portata sulla vita economica e politica, oltre che sul costume e sulla cultura. Alcuni ritengono anzi che questo sviluppo stia trasformando in profondità le stesse basi biosociali della conoscenza e del pensiero umano. […]
Nel 1964 l’opera “Understanding media” di McLuhan, sostiene tesi attuali soprattutto in riferimento al computer e alle prospettive della comunicazione interattiva.
[…]L'idea più originale e teoricamente produttiva di McLuhan è certo stata quella dei media come protesi, ossia estensione del sensorio umano nell'ambiente e come mezzo di interazione con esso. Una concezione che ha le sue radici nella tradizione di pensiero americana rappresentata dal pragmatismo e che McLuhan ha rielaborato in maniera originale. Egli sosteneva inoltre che la comunicazione elettronica rende "immateriale" il nostro corpo, dilatandolo nell'etere; e che questo fenomeno genera una "guerra dei media", come mostravano, già alla fine degli anni settanta, le nuove forme di terrorismo che si servivano della televisione per diffondere i loro messaggi. Infine, un'altra idea di McLuhan che è stata largamente ripresa è quella secondo cui la comunicazione elettronica, data la sua velocità e la possibilità di far circolare le informazioni quasi in tempo reale, rende il mondo un "villaggio globale".
[…]Accenti ottimistici dominano invece nel pensiero dell'americano Nicholas Negroponte, direttore del Media Lab presso il Massachusetts Institute of Technology, una tra le più note figure di guru dei media, che predice l'avvento della "società digitale" […] Un caso emblematico di proiezioni future che hanno suscitato brillanti discussioni, ma che oggi debbono venir ripensate criticamente, è rappresentato dalla tesi sostenuta da Joshua Meyrowitz, secondo cui i nuovi media, in quanto consentono di avere scambi e stringere relazioni personali senza necessità di essere fisicamente presenti, porteranno alla "perdita del senso del luogo"[…]

immagine 1: soggetto ed elaborazione di Angela Branca