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venerdì 17 gennaio 2014

Gae Aulenti, architetto designer, donna *

doodle di Google dedicato a Gae Aulenti & Pipistrello
post perfetto! va in bibliografia. ecco un'allieva che oltre le sue indiscutibili capacità, dimostra di aver letto, osservato e seguito temi, aspetti, linee e modalità del corso.
bravissima! ripeto: post interessantissimo, magistrale, una chiave  e resoconto del lavoro e l'esempio di Gae Aulenti e della nostra storia: ciò che siamo, che potremmo o dovremmo essere, ciò che non riusciamo ad essere. va in DEEPS Design: bibliografia di approfondimento.
inserisco il doodle di Google perché in aula a dicembre l'abbiamo, anzi l'avete ricordato: eravate in grado di riconoscere il riferimento. fu per me un momento di grande gioia e commozione.
cp
Gae Aulenti, architetto designer, donna
Foto 1
"La chiamavo la leonessa. La prima volta era capitato, se non ricordo male, a un convegno o in un' intervista. Qualche giorno dopo mi chiamò a Parigi. Sono la leonessa, mi disse con la sua voce arrochita dal fumo. Ridemmo.”[...]Renzo Piano conobbe Gae Aulenti quando lei era al Politecnico di Milano, assistente di Ernesto Nathan Rogers. "Erano i primi anni Sessanta, io lavoravo già con Franco Albini, ma per la cattedra di Composizione, tenuta da Rogers […].La incontrai allora". Una donna in un mondo maschile. […]  Avete mai lavorato insieme? “No. Il suo stile in architettura non è il mio. Ma la considero comunque una maestra per il suo metodo professionale, per la cura dei materiali, del dettaglio. E poi per la sua presenza civica, per il modo in cui le sue competenze erano al servizio di una causa civile” […] “E poi mancherà la sua presenza civica. Il suo impegno politico, le sue battaglie per una città giusta e pianificata?[…] “Direi che Gae aveva un tratto che andava oltre lo schieramento politico. Era, appunto, civismo. Una virtù poco praticata. Forza ed eleganza insieme. Una vera leonessa.
(Francesco Erbani, Renzo  Piano: hanno provato a farci litigare ma per me lei sarà sempre la leonessa”, la Repubblica, 02 novembre 2012, 38 sez. cultura http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/02/renzo-piano-hanno-provato-farci-litigare-ma.html )
Gaetana Aulenti, detta Gae,  nasce in provincia di Udine, a Palazzolo della Stella, il 4 dicembre del 1927, da una famiglia di origini meridionali, papà commercialista di origini pugliesi e madre napoletana, Gae Aulenti inizia a frequentare il Liceo artistico di Firenze, ma poi torna al Nord dove studia privatamente. "Prestavo allora dei piccoli servizi alla Resistenza,[…]si fidavano di me e qualche volta portavo fuori dai blocchi le missioni inglesi fingendo di andare in camporella. A Biella ero amica di due sorelle ebree che sparirono da un giorno all'altro. La coscienza civile nacque lì".(Da: Ansa, “Gae Aulenti, le sue opere più famose”, Panorama, 02 Novembre 2012, http://cultura.panorama.it/arte-idee/gae-aulenti-morta-architettura-opere)
“L'architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di nulla". 
Una frase emblematica pronunciata dall'architetto Gae Aulenti,[…] che mostra, la sua ironia, la sua grande umanità e la sua proverbiale timidezza. (Da: Espazium, “In ricordo di Gae Aulenti”, 01 novembre 2012, https://www.espazium.ch/archi/news/ricordo-di-gae-aulenti )
Foto 2
Scomparsa lo scorso novembre 2012 all’età di 84 anni, Gae Aulenti rappresenta una delle figure centrali della ricerca architettonica della storia contemporanea. […]Maestra della linea, la Aulenti si è distinta nel campo dell’allestimento e del restauro architettonico, nell’architettura d’interni, specializzandosi in design industriale, e in campo urbanistico. Allieva di Ernesto Nathan Rogers, aveva ereditato pienamente il suo insegnamento, al punto da considerare arredamento e urbanistica come gli estremi dell’attività di un architetto moderno. Non a caso l’attività della ‘Signora dell’Architettura’ ruotava attorno a queste due polarità ,ottenendo riconoscimenti in entrambi i campi, dall’architettura, al design e alla progettazione degli spazi. Alla fine degli anni ’60, l’architetto e designer italiana firmava due negozi, a Parigi e Buenos Aires, e cominciava così a far conoscere nel mondo il suo nome e il suo stile, associandolo a una delle aziende più illuminate del tempo, l’Olivetti. Designer di grido, divenne scenografa di Luca Ronconi, costumista per il Wozzeck di Alban Berg alla Scala, musa di Karlheinz Stockhausen e alla fine venne promossa “interior decorator” di casa Agnelli. Severa e rigorosa, maschile nei tratti, i capelli tagliati come quelli dell’Auriga di Delfi, in Francia la chiamavano la “Magicienne des formes”, miscelatrice di simmetrie e asimmetrie.”‘Dal particolare al generale, dal cucchiaio alla città” era il motto del maestro Ernesto Nathan Rogers, e lo fece suo. (Di: Clara Salzano, “La mostra tributo di Gae Aulenti al Triennale Design Museum”, 8 maggio 2013, http://www.fanpage.it/la-mostra-tributo-a-gae-aulenti-al-triennale-design-museum/ )
Dalla matita di Gae Aulenti sono nate opere come il Museo d’Orsay di Parigi

Il museo parigino è famoso per tre motivi: uno perché ospita i maggiori esponenti dell’impressionismo pittorico come Edouard Manet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Vincent Van Gogh. Il secondo motivo è perché si trova di fronte al famigerato Louvre. Il terzo perché è stato creato da un architetto italiano, un architetto donna.  (Da: 9colonne, “Gae Aulenti, l’architettura è donna”, http://9colonne.it/adon.pl?act=doc&doc=50458#.UsWs1fTuJ8E  )
Foto 4
Del singolare percorso di Gae Aulenti nella storia del design industriale, rimangono tracce indelebili come la sedia a dondolo Sgarsulv  prodotta nel 1962 da Poltronova (foto 4) o il tavolino in vetro con rotelle disegnato nel 1980 per Fontana Arte (foto 5) o ancora la lampada da tavolo Pipistrello per Martinelli Luce (1963, foto 6). Ha lavorato fino all’ultimo e tra i suoi ultimi progetti ci sono quello per l’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo (2006), la ristrutturazione e       ampliamento dell’aeroporto San Francesco d’Assisi di Perugia e, recentissimo, il restyling dello storico Palazzo Branciforte, nel cuore del centro storico di Palermo, restaurato e restituito alla città come polo culturale e polifunzionale. 
Foto 5
Foto 6









(Da: Leonardo, “Con Gae Aulenti se ne va un simbolo dell'architettura italiana”, http://www.leonardo.tv/articoli/con-gae-aulenti-se-ne-va-un-simbolo-dellarchitettura-italiana/)
“Bisogna progettare per un senso collettivo, non per una blasfemia individuale”
( Gae Aulenti, da: Alberto Apostoli, “86° Anniversario della nascita di Gae Aulenti” , Il blog di Alberto Apostoli, 04 dicembre 2013,http://www.albertoapostoli.com/blog/news/86-anniversario-della-nascita-di-gae-aulenti)
G.L.R. Parliamo di design. Lunedì 3 maggio nello studio del suo amico architetto Emilio Battisti si è parlato di design con Alessandro Mendini, Alberto Meda e Enzo Mari […]Il primo ha dichiarato che Oggi il disegno industriale non ha più alcun valore, di parere diverso Meda: Non è vero. L’oggetto industriale riesce ancora ad emozionare. Il più critico è stato Mari: Il design è finito, si è ridotto a quattro carabattole, non siamo capaci di fare più niente, dobbiamo abbassare la testa, lo sguardo e lavorare, dobbiamo lavorare come chi fa i prosciutti in una fabbrica, scendere dal piedistallo ed essere concreti. Lei che cosa pensa del design di oggi?  
G.A. Oggi i giovani lavorano molto, ma lavorano sulle immagini… come le archistar. Fanno tutto in stile. È tutto decorazione, non c’è più il disegno di una lampada o di una sedia prodotta dall’industria. Insomma questo Novembre –Fabio Novembre, designer e architetto nato a Lecce nel 1966 - ha fatto un culo di una donna – sedia Her, 2008 – ha in mente? Ecco allora io gli dico vaffanculo… tu scrivilo, se vuoi. […]Credono di essere furbi… 
 G.L.R. È una provocazione?                                                                                                                      
 G.A. No, è una stupidaggine. Va detto il nome vero di queste cose stupide. Sono stupidaggini.                  
 G.L.R. Come dovrebbe essere il design di oggi?                                                                      
 G.A. Vanno ricercate nuove forme, ma sempre pensando alla produzione, creare per un senso collettivo delle cose, non per un senso di blasfemia individuale…                                                        
G.L.R. E rispetto a quello che hanno dichiarato Meda, Mendini, Mari… lei come si colloca?     
G.A. Mari è un vero studioso e quando dice così protesta per come vanno le cose, però ha ragione. Mendini che è una persona molto intelligente e simpatica, ha sempre tentato di emergere e continuerà a farlo con la sua intelligenza e con le sue capacità.                                
G.L.R. Il disegno industriale esiste ancora?                                                                          
G.A. Non c’è più, ha perso un po’ il senso. Guarda che c’è anche un’altra differenza. Noi per esempio prima eravamo architetti che facevano design, oggi i designer non sono architetti quindi non hanno il senso dello spazio, non hanno un senso… una lampada va disegnata per uno spazio non per se stessa. 
 G.L.R. È importante la multidisciplinarietà?                                                                               
 G.A. È ancora il contesto del design, è ancora una questione di contesto sia fisico, nello spazio, che concettuale.
(Greta La Rocca, “Gae Aulenti -Bisogna progettare per un senso collettivo, non per blasfemia individuale-” , 24 giugno 2010, http://www.immobilia-re.eu/gae-aulenti-bisogna-progettare-per-un-senso-collettivo-delle-cose-non-per-un-senso-di-blasfemia-individuale-2/)
 “La luce è impressionismo”
A. Di cosa dovremmo parlare?
R. Potremmo parlare di luce, di cultura della luce, di luce e architettura di luce nell'architettura; tu lavori come designer e come architetto che rapporto c'è tra le tue lampade e le tue architetture?
A. Mah ...io non ho quasi mai disegnato lampade da sole, le mie lampade sono una conseguenza, io ho sempre disegnato lampade per luoghi specifici, alcune poi sono entrate in produzione...
 R. Non hai mai disegnato senza pensare ad un luogo?
 A. Poco… ho disegnato un sistema per uffici... i "Sistemi Tre", ma tu non la ricorderai, in genere le mie lampade sono legate a situazioni precise, a spazi e tempi di progetti d'architettura....
R. Allora sei una designer un pò casuale, un pò occasionale rispetto agli specialisti della luce, ai tecnologi dell'illuminazione...
A. Sì, anche se però c'è sempre alla base una riflessione sull'uso che comporta una riflessione tecnica, come per questa qui...
R. Quale?
A. Questa qui sul tavolo... si chiama... oddio non mi ricordo.... si chiama Pietra, è una luce che io considero una luce da ufficio,... non è una luce per lavorare, ma una luce per "parlare" intorno ad un tavolo, perché non sempre si lavora leggendo o scrivendo, si lavora molto anche parlando e allora ho pensato a una luce da ufficio per illuminare discretamente un colloquio...
R. Pensi più partendo da situazioni che da prestazioni tecniche o illuminotecniche?
A. Io penso che noi lavoriamo con tre cose: gli spazi, la luce soprattutto diurna, ma anche notturna, e l'architettura; poi c'è la luce come disegno, come strumento di puntualizzazione architettonica e la luce come fatto funzionale integrato come nei musei, dove fa parte della progettazione, non solo del desiderio, ma della necessità.[…]
R. Qual'è la prima lampada che hai disegnato?
A. La "Giova"(foto 7) che è un vaso su una lampada, una pianta sopra una luce, e poi la "Pipistrello" .

Foto 7
R. Che mi sembrano appartenere a due mondi diversi.
A. Perché?
R. La prima è una sovrapposizione di geometrie, tre bolle tutte trasparenti, quasi purista, la Pipistrello è invece quasi espressionista, molto disegnata un po’ neoliberty....
A. Neoliberty...mmh, non direi.
R. Dico neoliberty come rifiuto di linearità e di geometrie fredde, in fondo è una lampada calda con le ali nere un po’ animalesche...[…]
R. Parlando di design di lampade hai detto che è morto "l'abat-jour"...che cosa vuoi dire che non si può fare, non serve più...?
Foto 11
A. No, non è morto, l'abat-jour si può fare bisogna vedere come, perché il fatto è che con il Movimento moderno le luci sono diventate luci più dirette, piene, chiare, non mediate...direi quasi luci tecniche che non sprecano un lux; invece quello che si chiede e si chiedeva all'abat-jour è una luce corretta, mediata che vuol dire proteggerti dalla luce e non tanto moltiplicarla verso una direzione precisa con una funzione precisa. L'unica lampada moderna che si sia posta questo problema è stata quella di Noguchi, quella di carta, quella Giapponese.[…]
R. Vuoi dire che spesso è più utile vedere poco per...
A. Per indovinare molto, per immaginare, se non vedi i limiti di una stanza in penombra la puoi immaginare e sentire molto più grande.
R. Come ti senti rispetto all'evoluzione tecnologica nel campo illuminotecnico[…]?
A. Non mi interessa tanto...voglio dire che l'avanzamento tecnologico ha una sua necessità fondamentale ma non credo che una attenzione preminente a questo mondo faccia automaticamente nascere forme nuove. […]E poi credo che il vero protagonista involontario di questo "avanzamento" tecnologico sia il dimmer...
R. Il dimmer?
A. Sì perché con le nuove tecnologie è tale la quantità di luce che può uscire da queste microlampadine che alla fine è sempre troppa a allora giù coi dimmer per ridurla perché abbaglia è troppo sparata, si vedono le rughe in faccia, non aiuta la concentrazione... e invece il progetto luminoso è un progetto di mediazione, di sottrazione.
R. Quindi vorresti fare lampade che fanno poca luce?
A. Vorrei fare delle lampade che anche se ne fanno un po’ meno vadano bene lo stesso.
R. Come ti muovi tra i due estremi contemporanei del design minimale e di quello espressivo estroverso?
A. Dunque, io cose minimali è molto difficile che ne faccia perchè io non ricerco il minimalismo ma semmai la semplicità che è una cosa molto differente. Voglio dire che non è che con delle forme espressive tu non riesca a raggiungere la semplicità, anzi io credo che questa sia la cosa più difficile e più bella da raggiungere. Il minimalismo non mi interessa e non mi appartiene perchè io ritengo che un oggetto debba parlare forte di un linguaggio possibile per raggiungere il maggior numero di persone...anche se poi ne raggiunge sempre la metà.
R. Però il tuo tavolo di vetro con le ruote è minimale , è quasi un azzeramento di linguaggio, come lo spieghi?
A. Non lo spiego, è un'idea che quasi non ho cercato e stata l'intuizione di un giorno che in fabbrica in Fontana Arte ho visto trasportare le lastre di vetro su dei piani di legno con ruote industriali, e ho pensato che si poteva togliere il legno e c'era un tavolo già fatto, è stato quasi obbligatorio, direi un atto di "non disegno" non un disegno minimale voluto. Infatti non ho mai fatto più niente di simile; perché ho una attitudine più sperimentale legata alle cose, al vedere cosa succede lavorando su materiali diversi , sia vecchi che nuovi... La mia caratteristica è quella di disegnare molto, forse troppo, mentre il minimalismo è concettuale lavora più sulle idee quasi che la materia sia un accidente... […]
R. E la casa?
A. Cosa vuoi sapere?
R. Nella casa nell'ambiente domestico come entra la nuova tecnologia, l'evoluzione illuminotecnica? in fondo la vera rivoluzione nel design l'hanno fatta le lampadine.
A. Non saprei, io continuo a pensare che le nuove lampadine hanno anche deformato il discorso luminoso nelle case trasformandole in uno spazio con tanti punti di luce, che mi ricorda un po’ le processioni, le madonne; tante luci diverse come se per ogni funzione ci debba essere la lampadina, mentre poi sappiamo che una stessa luce cambia a seconda di quello che gli mettiamo attorno. Per esempio io ho sempre odiato quei faretti tecnici americani direzionali, che illuminano per punti invece di diffondere; appunto il contrario di quello che fa l'architettura con la luce. Io sono contro l'abbagliamento e tanto più nella vita quotidiana mi sembra che certe nuove luci hanno trasformato nei salotti la conversazione in un interrogatorio. […]
R. Insomma non bisogna dimenticare la vecchia tapparella?
A. Meglio ancora la persiana, è più semplice, e ricordarsi che di giorno una finestra è una bellissima lampada.
(Da: Franco Raggi, "Architettura e luce mediata. " Colloquio tra Gae Aulenti e Franco Raggi sulla luce in architettura, il neoliberty, i musei, il minimalismo, il teatro e le persiane”,  23 maggio 1991, http://www.apilblog.it/wp-content/uploads/2012/11/Intervista-Gae-Aulenti1.pdf )
Lampada Pipistrello 
L’humus in cui germina la lampada Pipistrello, disegnata da Gae Aulenti nel 1965 per Martinelli, è fervido. Gli anni '50 e '60 per l'esordiente architetto sono densi di esperienze ed iniziative. In realtà poca progettazione architettonica, ancora meno le realizzazioni, ma tante frequentazioni, influssi e collaborazioni e molto industrial design, in particolare nel settore illuminotecnico. […]Lanciata sul mercato nel 1967, la Pipistrello venne commercializzata in tutto il mondo, grazie alla visibilità che ebbe col 1972, quando non solo la Aulenti - che poté presentare oggetti di industrial design ed allestimenti- ma tutto il design italiano  (rappresentato nell'esposizione dai progetti più noti di Zanuso, Sottsass, Pesce, Sapper, Archizoom, ecc..) si affacciò alla ribalta mondiale: il merito fu della mostra Italy: The New Domestic Landscape, tenutasi al MoMA di New York. 
Il progetto della Pipistrello partì in sordina e per un anno rimase nei cassetti di Elio Martinelli. Difficile infatti, secondo i resoconti di Emiliana (la figlia di Elio) risultava l'industrializzazione del fusto telescopico, così come la forma complessa delle falde del diffusore, ad ali di pipistrello, che non era facile realizzare per gli stampaggi dell'epoca
Esemplare nella lampada della Martinelli l'approccio che Gae usava nella progettazione. Mai ‘regolare’ e con l'introduzione ogni volta di linguaggi nuovi, sorprendenti, spesso spaesanti. Nel progetto, dimostra di saper tessere legami sottili con il passato, inserendo nel contempo, elementi di discontinuità.
Foto 9
Foto 12
Foto 10

Il punto di partenza era l'archetipo costituito dal modello delle abat-jours Tiffany (foto 11) e quelle pre-Bauhaus, che però stravolge. Il risultato raggiunto appare stupefacente, perché la linea della lampada esprime una modernità ‘diversa’ ed inaspettata, affatto convenzionale: l’andamento sinuoso, curvilineo, vagamente flamboyant del fusto telescopico e del ‘cappello’, effettivamente non può non ricordare il profilo di alcune lampade liberty. Il risultato, come dicevamo, è qualcosa di mai visto prima; eppure con la Pipistrello, c'è da riconoscere che mai lampada moderna fu più neoliberty.
Foto 13

Recentemente, il designer friulano concordò con la Martinelli alcune variazioni della lampada - divenuta nel frattempo un'icona - con la base in finitura alluminiocromato lucido, satinato e rosso carminio, mentre la sua riprogettazione in scala minore, l'attuale Minipipistrello, (foto13) è del tutto estranea all'architetto friulano, che a causa dell'aggravamento delle condizioni di salute, non fu informata. Un'attenzione alla funzionalità della Pipistrello originaria, che si rivela versatile per il suo doppio utilizzo, sia come lampada da appoggio che come lampada da terra e da lettura qualora si fosse sollevato il fusto attraverso il pomello imitante un bulbo ad incandescenza posto sulla sommità del diffusore.
Foto 15
Foto 16
foto 18
Inizialmente era stata pensata da Gae per l'illuminazione di alcuni spazi commerciali trovò ambito e giusto risalto nei negozi della Olivetti di Parigi e di Buenos Aires allestiti proprio da Gae in quegli stessi anni (1965 e '67) e la vediamo sopra gli espositori da lei disegnati accostata ad un'altra lampada, di poco successiva, King Sun di Kartellaltro suo progetto. Infine, da segnalare l'epigono della Pipistrello. Gae progettò nel 1974 per la Harvey Guzzini un modello che presentava una forte continuità col modello di 10 anni prima, la Quadrifoglio (foto 18), della quale mantenne la concezione della struttura in acciaio e diffusore in metacrilato, sempre ripartito in 4 falde. L'estrema fluidità delle forme e l'attenzione ad alcuni dettagli decorativi (l'andamento floreale del fusto sdoppiato in 4 bracci - che per morbidezza di disegno quasi non pare acciaio) ne fanno uno degli oggetti più compiutamente liberty ideati dalla Aulenti. E tra i più amati dal pubblico considerando il successo commerciale che fu duraturo, tanto, che fece propendere l'azienda a declinarla in altre tipologie (terra e sospensione). (Da: Lot, “Classici del design: lampada Pipistrello”, 08 dicembre 2013 http://www.arredamento.it/forum/viewtopic.php?f=28&t=113970)
Fonti foto

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