piattaforma 1
DESIGN 2013/14 n 1 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-1.blogspot.it/

2
DESIGN 2013/14 n 2 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-2.blogspot.it/

3
DESIGN 2013/14 n 3 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-3.blogspot.it/

Ghirlanda Design

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martedì 31 dicembre 2013

per Michele ........Auguri di Buon Anno




questo per Michele, buon primo dell'anno!

"Il progetto è sempre un'operazione costosa, soprattutto quando tocca tradizioni e interessi.


E' come in guerra: bisogna avanzare un millimetro dopo l'altro, cercando di retrocedere
 il meno possibile (i compromessi necessari)".
Enzo Mari, 25 modi per piantare un chiodo, Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag.7, dalla riga n 27 alla n 30.



Mi rifaccio ad Enzo Mari , riportando una frase del libro che particolarmente m'ha colpito per augurarvi un prosperoso e produttivo 2014.



Michele Bagnato

l'Op Art e Panton &...

ecco come si può scrivere:
Francesco Catalano, "Il mondo di Verner Panton/ colore, forma e tecnologia/ come un designer...", parte prima, su Gorgonia/ il blog di F. Catalano, 28 ottobre 2012.
ora corregga tutte le fonti bibliografiche, poi vorrei non tornarci più su... almeno per quest'anno. Auguri!_____________________________



Ho spesso detto, anzi non faccio altro che ripeterlo, che prendere un segmento temporale - gli anni '60 - è una forzatura, una condizione dovuta ai limiti di 8CFU di un corso, unico nel suo genere nel piano di studi, il Design, e che comporti necessariamente il dover parlare per frammenti, per spunti, per poter ritrovare le mode, il gusto, le scoperte, le invensioni, le innovazioni nostre e ricche ed i riferimenti, i precedenti, gli antefatti.
Ovvio che ogni cosa prende e riporta ad altre relazioni, nessi, attinenze ed informazioni, e poi a paragoni, a confronti ed orientamenti, sino a comprenderne tutte le connessioni, le sequenze, la storia nel suo complessità, e lo studio.
Ora Alessia, bravissima, stra-brava, ha creato, ha individuato, ha realizzato una connessione stupefacente tra l'Optical Art degli anni '6o e la Panton Chair, sempre di quegli anni, ed io non posso non assecondare la sua voglia di capire, scoprire, connettere, scrivere ed impaginare per bene  al fine di comunicarlo a voi tutti, né su queste istanze voglio costringere tutti gli altri, quindi costruirò un banner "Bibliografia dei bravi" o qualcosa di simile, mettendoci questi post della 2a piattaforma in modo che chi vuole vada, veda e scopra, perché i temi dilagano, lo dite in tanti, ad esempio Antonino Sinicropi da una citazione di Enzo Mari sull'Optical Art (Bruno Munari, Enzo Mari e l'Arte Programmata) era arrivato a Tinguely ed al Documentario The Responsive Eye, di Brian de Palma, 1965, che ora ritroviamo citato nel saggio di Alessia.
Se, quindi, parliamo di Optical, impossibile, davvero credetemi! è IMPOSSIBILE non parlare di Marcel Duchamp, e a ruota di Man Ray, Salvador Dalì, e ho aggiunto una sequenza tratta da un film muto di Jean Coctueau e, di nuovo, ancora e ancora, le scoperte e le innovazioni di quei tempi nella fotografia, e quindi nel cinema, nella moda, e così via.
Per tutti un ritratto di Dalì con ... gli occhiali che ben conoscete di André Courrègesquindi ho inserito alcuni link e queste immagini, vedere per credere se non ci sono i presupposti di collegamenti e riferimenti.
... ma questa è già una tesi di laurea!
cp
Marcel Duchamp - Anemic Cinema, 1926

Man Ray  "Violon d'Ingres", 1924. Il soggetto è Alice Prin,
in arte Kiki, modella,cantante di Montparnasse...
Jean Cocteau Le sang d'un poète, 1930
cfr.: 


l'Op Art e Panton
“It was a marvellous time. In the ‘60s you were knocked in the eyeballs. Everybody, everything was new.”
E 'stato un momento meraviglioso. Negli anni '60 sfondano i  bulbi oculari. Tutti, tutto era nuovo.
Diana Vreeland – Editor in Chief of US Vogue 1963 – 1971
"Op Art in Fashion and Design/The Fashion Revolution of the 1960s", su Op-art.co.uk dal web: Op Art in Fashion and Design - http://www.op-art.co.uk/op-art-fashion/
"Cos'é La Optical Art
Foto 1
L'Optical Art è un tipo di Arte Astratta,  strettamente legato ai movimenti dell'Arte Cinetica e dell'Arte Costruttivista. Il movimento conosciuto anche come OP-Art nasce intorno agli anni sessanta e approfondisce l'esame e lo studio dell'illusione bidimensionale. Nata utilizzando solo il Bianco ed il Nero, l'Optical Art ingloba in seguito anche i colori, sempre allo scopo di offrire allo spettatore opere in due dimensioni che danno l'impressione di movimento, di immagini nascoste o lampeggianti , oppure che si gonfino o si deformino." 
Cos'é "La Optical Art ", su Turismo e Viaggi - Arte - Foto sfondi desktop - Cultura - Poesia - Musica - Libri dal web : Cos'é La Optical Art - http://www.settemuse.it/arte/corrente_optical_art.htm

"Le due tecniche principali utilizzate [...] sono le prospettive illusorie e la tensione cromatica: protagoniste assolute sono le texture (o gradients) e i patterns, che concorrono a suggerire effetti tridimensionali, o addirittura suggeriscono il movimento. [...]
Le opere Op sono anche definibili ottico-cinetiche nel senso che si include il movimento anche da parte del fruitore. Quando l'osservatore si sposta si ottengono effetti diversi."
" I tempi dell'Optical Art
Foto 2
Gli artisti della Op Art, agli inizi degli anni Sessanta applicarono gli studi dalla Psicologia Percettiva al mondo artistico per realizzare opere con proprietà di illusione e distorsione ottica.
In origine il movimento Op Art venne criticato  considerando mancanza di originalità le loro applicazioni confrontandole con le opere dei Bauhaus, di De Stijl.  Nel 1965 dopo la mostra "The Responsive Eye"  tenuta a New York, la critica cambiò posizione accettando i lavori esposti appartenenti ad una nuova forma d'arte ed il termine Optical Art e Op Art divenne conosciutissimo sia in America che in Europa.  Negli anni Settanta la Optical Art contaminò alche il mondo esterno all'arte e i suoi motivi vennero utilizzati per decorazioni e nell'abbigliamento, specialmente nell'alta moda. "
Foto 3
 "La Optical Art ", Op. cit. , dal web : Cos'é La Optical Art - http://www.settemuse.it/arte/corrente_optical_art.htm
"[...]Il principio di partenza, geometrico, determina in chi osserva uno stimolo ottico dai risvolti psicologici. Esempi lampanti, i quadri in bianco e nero con vortici o spirali. Osservati per qualche minuto, prendono vita iniziando a muoversi... Miracoli degli effetti ottici. Con Verner Panton (1926-1998) la “psichedelìa” approda nel design. Il suo talento non si limita alla progettazione di sedie, ma fra il 1960 e il ’70 rivisita interni e ambienti con mobili curvi, tappezzerie alle pareti, sistemi d’illuminazione. Per la Mira-X, Panton disegna tessuti “optical” con cerchi neri e bianchi. Incredibili fascinazioni, che oggi riconquistano le collezioni di moda. E, scommettiamo, non durerà una sola stagione [...]"
Eleonora Tarantino, "È di moda l'Op'Art", su Cool mag /Cool faschion&design , dal web: È di moda l'Op'Art - http://www.coolmag.it/fashion_design/art_fashion_design.php?id=1410

Foto 4
" Verner Panton (1926 – 1998) è stato un designer danese lungimirante e innovativo che si è guadagnato un ruolo di primissimo piano nella storia del design del secolo scorso, grazie al proprio rivoluzionario approccio al colore e ad un senso matematico della forma capace di trasformare la geometria in pura meraviglia. I suoi progetti che trovo più innovativi sono probabilmente quelli ispirati alle forme organiche – ipnotici viluppi di linee sinuose che sfuggivano a ogni precedente esperimento di design – ma in generale credo che la sua portata rivoluzionaria risiedesse nel suo temperamento caparbio e nel suo istinto sperimentatore. Panton era affascinato dalle moderne tecnologie che si affacciavano in quel periodo nel panorama produttivo ampliando le possibilità dell’industria del mobile e dei nuovi materiali, in primis la plastica, con cui volle – e fortissimamente volle – realizzare la prima sedia colata e stampata in un unico pezzo: l’immortale Panton Chair.  Se il futuro - una delle grandi ossessioni di quegli anni di rapido progresso tecnologico e sociale - veniva immaginato dai visionari dell’epoca come un mondo di infinite possibilità, ma anche di pericolose incognite, e veniva vissuto dall’uomo comune con un mix di curiosità e paure, per Panton invece il domani era un giardino da inventare, in cui coltivare un messaggio divertente, allegro e positivo."
Francesco Catalano, "Il mondo di Verner Panton/ colore, forma e tecnologia/ come un designer...", parte prima, su Gorgonia/ il blog di F. Catalano, 28 ottobre 2012.
VERNER PANTON: BIOGRAFIA E PROGETTI - http://www.gorgonia.it/hotel-ristoranti/progetti-verner-panton

Foto 5
"Quando la prima creazione di Verner Panton si presentò sul mercato fu subito chiaro che avrebbe segnato una rottura dei diffusi schemi interpretativi. La "Panton Chair", apparsa alla fine degli anni '60, stravolse le leggi del design. Era modellata su un unico foglio di plastica e non inneggiava alla sua funzionalità (come volevano i dettami del design dell'epoca), bensì la nascondeva a vantaggio della forma armoniosa e per la prima volta rendeva la plastica un materiale di pregio.
Verner è stato un rivoluzionario dello "stile svedese", l'innovatore dei prodotti dalle linee essenziali e dai materiali poveri. L'idea di arredo per Verner Panton risiedeva nell'armonia di ogni elemento. Circondarsi di complementi di arredo piacevoli, semplici e caldi aiuta, secondo la sua filosofia, a sentirsi bene in una culla familiare comoda oltre che bella.
Foto 6
Il colore fece l'entrata trionfale nella progettazione, con uno stretto legame significativo, una precisa connotazione simbolica che lo rendeva imprescindibile dalla forma e dal materiale a cui si aggiungeva. Nei primi anni le sue opere vennero giudicate eccentrici esperimenti di stile, inutilizzabili opere d'arte... che avrebbero fatto, però, la storia del design internazionale.
[...]Rese la plastica una materia nobile per il design [...]"
Pamela Pinzi, "Verner Panton, il rivoluzionario",   su Luxuryonline, 4 Dicembre 2009,
dal web: Verner Panton il rivoluzionario - http://www.luxuryonline.it/articoli/vedi/1393/verner-panton-il-rivoluzionario/

"Panton Chair
Design: 1958-1967 

Foto 7
La Panton Chair è forse l'oggetto di design  più noto di Verner Panton. La sua forma, che è tanto inusuale quanto è sorprendente, e le innovazioni nella tecnologia di produzione che sono legati a questo pezzo di arredamento ne hanno fatto un'icona della sedia di design nel XX secolo. Panton sembra avere sperimentato l'idea di un sedia a sbalzo realizzata in un unico pezzo di materiale già nel 1956, in occasione di un concorso di mobili dalla società di WK-Möbel. Ci sono schizzi dal 1958/59, che già prefigurano chiaramente la Panton Chair. Poco tempo dopo Panton aveva un modello in scala del suo concetto di sedia fatta in polistirolo che non era adatto per sedersi, ma l'avrebbe aiutato a trovare un produttore. Oggi questo modello, che viene spesso erroneamente descritto come un prototipo, fa parte della collezione del Vitra Design Museum e mostra differenze significative alla più tarda Panton Chair.  All'inizio degli anni Sessanta Panton entrato in contatto con Willi Fehlbaum, l'amministratore
Foto 8
delegato della Vitra, che ha indicato la sua disponibilità a sviluppare la sedia alla fase di produzione in serie, si trasferì con la famiglia a Basilea. Tuttavia,  è stato fino agli anni tra il 1965 e il 1967 che il lavoro di sviluppo sulla sedia è stata trainata in avanti intensamente. Nel mese di agosto 1967 la Panton Chair è stata presentata al pubblico per la prima volta. Da allora la sedia è stata prodotta in quattro versioni differenti da quattro diversi tipi di plastica e con l'ausilio di diversi tipi di tecnologie di produzione. C'erano due ragioni economiche ed estetiche per la modifica delle materie. 
Foto 9

Tutte le versioni sono state sviluppate in stretta collaborazione tra il produttore e Verner Panton. La storia della produzione della Panton Chair è la seguente: 
-1967/68 la produzione in serie iniziale stampato a freddo, fibra di vetro rinforzata resina poliestere, dipinte in vari colori. Produttore: Herman Miller / Vitra 
-1968-1971 il secondo modello della serie realizzata in poliuretano espanso rigido, verniciato in vari colori Produttore: Herman Miller / Vitra 1971-1979 il terzo modello della serie in polistirolo termoplastico colorato (Luran S). Le sedie fatte di questo materiale possono essere identificate dalle creste sotto la curva tra la seduta e la base. Produttore: Vitra, negli Stati Uniti fino al 1975 Herman Miller 


Foto 10
-La Panton Chair non era in produzione 1979-1983. 
-1983 ad oggi seconda versione della sedia in poliuretano espanso rigido verniciato. Questa serie può essere identificata con la firma di Panton sulla base. Produttore: 1983-1990 Horn, a nome del gruppo WK, dal 1990 Vitra, dal 1999 questo modello è stato commercializzato con il nome di Panton Chair Classic. 
-dal 1999 ad oggi giorno quarto modello della serie in polipropilene colorato. Produttore: Vitra 
-2005 ad oggi giorno Panton Junior di polipropilene colorato (una versione più piccola della Panton Chair fatta di scalare per i bambini a partire dall'età di tre). Produttore: Vitra"  
"Panton-Chair" su Verner Panton/Forniture ,
dal web : Panton Chair - http://www.verner-panton.com/furniture/archive/phase/1833/

"LA PLASTICA
Foto 11
Quando parliamo di sostanze "plastiche", dovremmo specificare che parliamo di plastica polimerica. Infatti con il termine materie plastiche, potremmo intendere le argille, ad esempio. L'accezione polimerica ci permette di stringere il cerchio sulle lavorazioni che coinvolgono la lavorazione di polimeri naturali, che porta alla formazione di polimeri artificiali (semisintetici). Il corno ad esempio, è proprio uno di questi materiali naturali che possono essere modellati "plasticamente": è un materiale termoplastico e veniva lavorato a pressione dopo il rammollimento, che avveniva attraverso il riscaldamento a secco o per immersione  in acqua bollente o con soluzioni alcaline. Si possono vedere oggetti in corno dal 1770, specialmente per la produzione di pettini.
Nell'800 la gommalacca, ricavata dalla secrezione di un insetto della famiglia degli emitteri, era diffusa per realizzare piccoli oggetti come cornici, articoli da bagno, protesi dentarie, e fino al 1950 per produrre dischi grammofonici. Nel 1839 Goodyear inventò la tecnica di vulcanizzazione della gomma naturale (poliisoprene) coagulando il lattice ricavato da piante tropicali, come l'Hevea Brasiliensis. Solo nel 1910, però, vengono prodotti i primi pneumatici ricavati da semplici idrocarburi (gomma sintetica), dalla Hood rubber company e dalla Diamond Rubber Company.
Nel 1856, partendo dalla cellulosa, Alexander Park  diede vita alla Parkesine (nitrocellulosa), mentre i fratelli Hyatt nel 1868 perfezionarono la termoplastica celluloide (nitrato di cellulosa). Le bambole in celluloide sono forse il primo esempio di identificazione materica della plastica, non quindi un'imitazione, ma un nuovo materiale con proprie qualità estetiche.
Nel 1909 il chimico belga Baekeland produce la bakelite (resina fenolica), attraverso la condensazione tra fenolo e aldeide formica. Si tratta del primo polimero sintetico rigido (termoindurenti sintetici), spesso completato con alcuni additivi dalla funzione riempitiva come  farina di legno  o grafite. Questo materiale ha caratterizzato la produzione di oggetti nel periodo tra le due guerre, svariati erano i prodotti in Bakelite, dai telefoni, agli interruttori elettrici e alla componentistica per le automobili.
La ricerca nel campo delle materie plastiche si sviluppò grazie ai progressi della chimica nella prima metà del XX secolo, quando si arrivò alla sintesi di polimeri sintetici da idrocarburi: nel 1934 vengono scoperte le resine melamminiche (termoindurenti) e nascono le prime produzioni di termoplastici come PVC e polietilene."  
"Panton Chair", su LAB12  3dm1/Flipcard , dal web: Panton Chair -  http://laba12-3dm1.blogspot.it/2012/01/panton-chair.html


Fonti fotografiche:

Felice Anno Nuovo


Christmas wreath prototype di Vincenza Triolo creata  durante  esercitazione in Lezione 8: Christmas Design & Laboratory - Christmas wreath design – 11 XII 2013.


Auguri di Buon Anno

Abbiamo concluso l'anno con un'accesa discussione aperta da un collega, del quale posso comprendere lo stato d'animo nell'affrontare un nuovo corso, perché anch'io non essendo più ventenne mi ritrovo il mio piccolo bagaglio di esperienza che spesso mi porta ad una difficile apertura verso un metodo che apparentemente esula dalla mia visione dello studio. Questa discussione mi ha condotto alla decisione di scrivere questa "breve" testimonianza sul mio approccio al corso di Design. 

Quando mi ritrovai a dover riorganizzare la mia vita, dopo che speranze e progetti erano volati per aria, allo stesso modo di come erano stati costruiti, decisi di riprendere e completare quel percorso di studi iniziato nel lontano 2001 e interrotto per seguire altre strade. Ricominciai come un ventenne a seguire le lezioni, nuovi corsi e nuovi docenti, appassionandomi un po' a tutto, riscoprendo cose che avevo riposto e imparandone di nuove. 

...Era il 2003 quando seguii la prima lezione di un corso della professoressa Polidori e, ovviamente, per lo studente che ero allora, scappai durante la pausa. Me ne andai perché non trovavo corrispondenza tra le mie quattro ideuzze balzellanti nel mio cervello e quella che era l'offerta didattica del corso.
Probabilmente persi un'occasione.
Dieci anni dopo l'occasione si ripresentò. 
Quando appresi che, a seguito delle modifiche al piano di studi, al terzo anno era stato inserito il corso di Design, non nascondo il sentimento di voler nuovamente scappare per quel preconcetto che si era creato nella mia mente: la visione di un ostacolo insormontabile, qualcosa di assurdo ed impossibile...
 Preconcetto che probabilmente è insito nella mente di decine di studenti, di tutti gli anni e per diversi corsi e docenti, che nasce principalmente dalla non voglia di andare a fondo alle cose, di impegnarsi ed apprendere. Troppo spesso ho notato grande apprezzamento per quei corsi e quei docenti che "regalano" esami con minimi sforzi, perché alla fine ci interessa (a tutti, a molti, anche a me) di più ottenere un "pezzo di carta" che ha un valore discutibile, piuttosto che apprendere, fare esperienza, conoscere e crescere. I "pezzi di carta" servono a poco (ma servono), sono le nostre capacità, adeguatamente sviluppate durante il percorso di vita, che fanno la differenza. Si può essere grandi geni, ma senza applicazione non si fa nulla, come si può studiare tantissimo per raggiungere l'esame senza capir nulla di ciò che si sta facendo, si porta a casa un 30 e dopo non rimane nulla.

“...
la comunità spesso, per ignoranza o paura, è contraria alle innovazioni. Il progetto è sempre un’operazione costosa, soprattutto quando tocca tradizioni e interessi.
È come in guerra: bisogna avanzare un millimetro dopo l’altro, cercando di retrocedere il meno possibile (i compromessi necessari).
Tutti gli uomini hanno la capacita di progettare. E tutti nascono uguali.
Per questo affermo che la differenza fra me e chiunque altro è minima, non piu di un 5 per cento fatto di metodologie e conoscenze tecniche. Che non ho imparato dai libri o dai manuali, ma strada facendo, coerentemente alle ragioni dell’anima.
Ho passato la vita a fare progetti, più di duemila, ma credo ancora di non sapere cosa sia il design.
So di non sapere (come insegnava Socrate). E continuo ad aver voglia di conoscere, ad appassionarmi alla ricerca.
...
È con la pratica, attraverso gli errori, i ripensamenti e i fallimenti, che ho acquisito la competenza che oggi mi viene riconosciuta.
...
Su di essa ha influito anche il voler fare tesoro dell’esperienza di coloro che ne avevano piu di me.
...
Ero timidissimo: osservavo, ascoltavo, percepivo.
Un giorno, avrò avuto 25 anni, stavo assistendo a una conferenza sul design. Casualmente, mi ero seduto a fianco di un signore anziano. Lo conoscevo bene per averne vista pubblicata tante volte la foto, ma non osavo rivolgergli la parola: era Adriano Olivetti. I discorsi che sentivo non mi piacevano affatto, mi agitavo sulla sedia ed ero palesemente insofferente. Olivetti mi guardò con fare bonario e, sorridendo, mi disse: ≪Se non ti piace quello che senti, alzati e parla≫.
Quel giorno non ne ho avuto il coraggio, ma nei mesi successivi ho seguito il suo consiglio. E non ho più smesso di parlare. O di fare prediche, come qualcuno sostiene.
Ho iniziato a scrivere commenti, piccoli saggi, qualche libro. Non è il mio lavoro, ma mi sono sentito obbligato a farlo: un po’ perché, nella ridondanza generale, ho capito che la qualità formale delle cose che via via appassionatamente elaboravo non sarebbe riuscita a ≪parlare da sola≫. E poi perché mi premeva trasmettere, al di là di questa o quell’occasione specifica, la necessita di una visione legata al grande numero, all’insieme degli individui. Con la speranza di generare qualche scintilla che ne innescasse il riscatto.”
(Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2011, pag. 7-8)

Prima di scrivere i post, di leggere i libri e di leggere la bibliografia, ero notevolmente ignorante di quest'ambito, avevo visto qualcosa, ma non sapevo nulla e ancora adesso dopo due mesi non so praticamente nulla. Non sapevo chi fossero Munari, Mari, Sottsass, Pucci (uno dei padri della moda italiana e io che credevo fosse un falso di Gucci) per non parlare di Tinguely... C'ho sbattuto la testa, ho letto, mi sono documentato, ho scritto e oggi posso dire che un po' li conosco e qualcosa mi hanno insegnato, che forse mi servirà o forse no, non è questo il momento per stabilirlo, ma di sicuro reputo importante l'aver conosciuto questi maestri.
Se non avessi accettato la proposta di questo corso sarei rimasto dov'ero, e com'ero, ignorante.
Quando mi dovetti confrontare per la prima volta con la piattaforma, dire che fu un'esperienza tragica è dire poco, non è facile, soprattutto perché quello che vai a “produrre” deve essere fruibile da tutti, cioè tutti devono poter leggere e capire di cosa stai parlando e, cosa fondamentale, devono poter accedere alle risorse che tu hai consultato per la tua produzione al fine di verificare se siano attendibili o meno, se esiste una base di verità e soprattutto che tu non abbia omesso degli elementi che per altri potrebbero risultare importanti, quindi, consentire a qualcun'altro di potere, partendo dal tuo lavoro, elaborare un'altro. E' difficile, non lo nego, prende tempo, ma insegna tantissimo. Ho scoperto il valore delle note bibliografiche.  
Lavorando sui post e seguendo le lezioni che venivano costantemente aggiornate (e quando dico costantemente è perché, da autore, mi è possibile seguire anche il lavoro della docente che è continuo e in movimento, non ci offre informazioni preconfezionate come tanti altri corsi), ho scoperto un nuovo modo di studiare, apprendere e condividere. Un modo che chi, purtroppo, si è voluto fermare al solo guardare da osservatore esterno, difficilmente riuscirà a capire.
Le prime lezioni mi avevano lasciato un senso, quasi, di vuoto, mi sembrava di stare a perdere tempo, poi iniziai a riguardare il materiale, tornato a casa, dopo la lezione, e tutto mi appariva più chiaro, cominciavo a leggere anche le immagini. 
La piattaforma è uno "scrigno" di informazioni preziose, che stimola la voglia di ricerca e facilita l'apprendimento. E' più pratica da utilizzare rispetto ai libri e per di più è nostra. Siamo noi che editiamo il nostro libro di testo. Non è un sito internet nel quale si vende qualcosa, non deve contenere effetti grafici di grande impatto, deve essere fruibile da tutti e stimolarci alla ricerca. Le informazioni non sono messe a casaccio, hanno un senso, per chi non l'avesse ancora trovato invito a perderci un'oretta riguardando le lezioni. 
Se poi qualcuno avesse obiezioni del tipo: "Cosa mi interessa degli anni 60 se siamo nel 2014?", lo invito a far muovere i neuroni lungo le sinapsi e fare una bella riflessione su ampia scala...sicuro che ci riesce chiunque. La mia risposta a questa domanda è chiaramente descritta in una frase di Sottsass.


"Oggi voglio chiamarmi designer teorico esattamente come c'è il fisico teorico che pensa alla fisica e non al progetto per andare sulla Luna. Pensa e studia le leggi fisiche che si incontrano e si devono conoscere andando sulla Luna."
Ettore Sottsass
(Museo Alessi, a cura del, Design Interviews. Ettore Sottsass, Corraini Editore, Mantova, 2008, Edizione Italiana, in copertina)

Capita costantemente che io mi chieda: “A cosa mi serve?”oppure “Perché lo faccio?”. Per il momento, come già detto, non mi do risposta, continuo a “correre dietro a qualcosa che non ho mai saputo cosa fosse, come fosse, dove fosse” (E.Sottsass, Scritto di Notte, Adelphi, Milano 2010, pag. 12).

Ricordo che un mio amico perse due settimane di tempo per trovare un sistema facile per superare il compito di Analisi Matematica 2 ad Ingegneria, alla fine fu bocciato. La volta seguente studiò per una settimana quello che era previsto dal programma e fu promosso, oltre ad aver imparato qualcosa e ad essersi appassionato di qualcosa che non gli andava giù prima.
Se ci si mette a fare le cose, piuttosto che stare a perder tempo a pensare e cercare tra infinite strade quella più facile da percorrere, tutto diventa più semplice e anche divertente.

Sono un timido e si vede, non sono un secchione e lo si può capire facilmente, tantomeno un genio, eppure non ho avuto grandi difficoltà o ansia da post o il terrore di essere giudicato e letto da altri, mi sono lanciato e mi sono pure divertito, cosa che raramente accade in altri corsi.
Se qualcuno mi avesse detto, qualche mese fa, che al corso della professoressa Polidori ci si diverte pure, gli avrei riso in faccia e gli avrei dato del pazzo.

Mi sono divertito a fare pure la ghirlanda natalizia, nonostante mi trovi più a mio agio ad assemblare le “sopresine dell'uovo kinder" o i mobiletti di IKEA o quelli in vendita al LIDL, ma mi sono rimesso a lavoro per capire quali siano stati i miei errori e come risolverli, perché credo che una persona che si ferma alla prima difficoltà e non prova ad affrontarla non crescerà mai.

Del 2013, tirando le somme, sono contento. 
Non è stato un anno di eventi bellissimi, anzi, ma sono contento per l'esperienza acquisita, di aver avuto la possibilità di conoscere cose nuove, e soprattutto di aver conosciuto nuovi colleghi, amici, compagni di “corsa”.
Vorrei ci fosse più tempo per conoscervi meglio tutti, come vorrei che le lezioni di design potessero durare di più, perché è tempo investito bene.

Per il 2014 mi auguro che la Professoressa Polidori non oscuri più le piattaforme, in molti ci siamo un attimino destabilizzati, perché ormai sono diventate qualcosa che ci "appartiene" e mi auguro possano diventare tali per tanti altri. 
Questo post non l'ho scritto per fare il “bravo studentello”, l'ho scritto principalmente e soprattutto per i miei colleghi, per chi come me ha intrapreso questo percorso, per chi ha intenzione di intraprenderlo, ma in particolar modo per quelli che non sanno da dove cominciare o che vogliono mollare. Non perdete delle opportunità, ma sfruttatele. Mi è stata data l'opportunità di essere autore e l'ho sfruttata anche in questo modo.

e dopo avervi abbondantemente annoiato, con la promessa che continuerò a farlo anche nel 2014...



...Auguro a tutti un Nuovo Anno ricchissimo di opportunità da sfruttare.

Antonino Sinicropi

Bruno Munari e la Lampada Falkland

Ho inserito alcuni riferimenti ed immagini poiché la bibliografia e le specifiche sono SEMPRE oltre che fondamentali, un dovuto "dare a Cesare quel che è di Cesare".
Sono ben espressi sia il profilo dell'autore che il soggetto innovativo del prodotto.
brava Alessia!
cp

Bruno Munari e la Lampada Falkland

Foto 1
"Famosissimo artista dalla personalità eclettica e dalla fervida immaginazione, Bruno Munari nasce Milano, ed è stato uno dei massimi protagonisti del design e della grafica del XX secolo, dando contributi fondamentali in diversi campi dell’espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, design industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) e le sue opere hanno come motivo principale una ricerca costante sul tema del gioco, dell’infanzia e della creatività.
E’ difficile, se non impossibile, collocare Munari in un unico settore; la sua convinzione era che “L’arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nelle forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi”. La sua attività spazia dall’arte in senso stretto alla grafica pubblicitaria, alla progettazione di giocattoli; sono peraltro molto celebri i suoi numerosi libri per bambini, per l’infanzia e per la scuola, così come anche la

 serie dei cosiddetti “libri illeggibili” testi privi di parole e destinati a comunicare a livello tattile grazie alle pagine realizzate in materiali diversi.
Da giovane, Munari fu influenzato da Marinetti e partecipò al movimento futurista, ma successivamente, negli anni Quaranta, fondò egli stesso, insieme a Dorfles, Monnet e Soldati, il MAC (Movimento Arte Concreta), una sorta di sintesi tra le diverse correnti astratte che mira a una più stretta connessione tra le arti e tra arte e industria. "
Enrica Malaspina, "Munari Bruno 1907-1998 Milano. Artista e designer"dal blog  ENRICA MALASPINA design allieva del corso A prof CECILIA POLIDORI a.a. 2010 - 2011,
dal web: MUNARI BRUNO 1907-1998 Milano. Artista e designer. -  http://enricamalaspina.blogspot.it/2011/01/munari-bruno-1907-1998-milanoartista-e.html

SEMPLIFICARE E’ PIU’ DIFFICILE
Foto 2
Complicare è facile,
semplificare é difficile.
Per complicare basta aggiungere,
tutto quello che si vuole:
colori, forme, azioni, decorazioni,
personaggi, ambienti pieni di cose.
Tutti sono capaci di complicare.
Pochi sono capaci di semplificare.
Per semplificare bisogna togliere,
e per togliere bisogna sapere che cosa togliere,
come fa lo scultore quando a colpi di scalpello
toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’é in più.
Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno
una scultura bellissima, come si fa a sapere
dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere
vuol dire riconoscere l’essenza delle cose
e comunicarle nella loro essenzialità.
Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode….
La semplificazione è il segno dell’intelligenza,
un antico detto cinese dice:
quello che non si può dire in poche parole
non si può dirlo neanche in molte.

Bruno Munari
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"La produzione di Bruno è sterminata, ferma sulle proprie posizioni, ma continuamente messa in gioco. Munari è stato un artista designer che per tutta la sua vita ha compiuto ricerche in zone non convenzionali, esplorando le possibilità materiche strutturali e formali di nuovi mezzi, per produrre oggetti a comunicazione visiva e plurisensoriale. Architetto-poeta attento ai codici e ai linguaggi dell’arte, lucido nell’analisi e curioso del mondo, generoso ed essenziale, lontano dalle più tradizionali e scontate regole del gioco. Saper vedere per saper progettare, ricordava. E applicava questa regola, vero e proprio “metodo” , tanto alla struttura produttiva (dove l’oggetto è oggetto prima di essere merce) quanto alla didattica. La regola e il caso: l’unica costante della realtà è la mutazione, diceva parafrasando un detto cinese. Solo se sei in continua evoluzione, insomma, sei nella realtà. Nella realtà, tutti quelli che hanno la stessa apertura visiva e vedono il mondo nello stesso modo, non hanno osservazioni diverse da comunicarsi.
Solo chi ha un’apertura visiva diversa vede il mondo in un altro modo e può dare al prossimo un’ informazione tale da allargargli il suo campo visivo. Bruno Munari è stato un grande maestro del vedere, per maestria del suo fare, ma anche per il suo insegnare a scoprire le infinite dimensioni della visualità. Se tutti iniziassero a guardarsi intorno potrebbe scattare una rivoluzione, perché saper vedere significa saper pensare con elasticità e libertà.  La fantasia, l’invenzione, la creatività pensano, l’immaginazione vede. Sullo sfondo di una profonda conoscenza della cultura e della disciplina Zen, Munari manifesta con chiarezza una vocazione a far entrare l’arte nella vita, partendo dalla ridefinizione di ogni gesto quotidiano in funzione di un percorso di conoscenza del sé che passa attraverso la conoscenza dell’altro. 

L’artista può preparare gli individui (a cominciare dai bambini) a difendersi dallo sfruttamento, a smascherare i furbi, ad esprimersi con la massima libertà e creatività. Può continuare la tradizione invece che ripeterla stancamente.

La rivoluzione va fatta senza che nessuno se ne accorga. La leggerezza è stata per Munari un modo di pensare, una forma mentis , in momenti storici in cui la pesantezza intellettuale sembrava quasi un obbligo di casta.  Come non ripensare, a questo proposito, a Calvino, autore poliedrico, innamorato dell’infanzia, e per tanti altri versi così simile a lui (Lezioni Americane – Sei proposte per il prossimo millennio, cfr.: Lezioni americane - WikipediaLezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio, di Italo Calvino : MeLoLeggo.itTNTforum -> Italo Calvino - Lezioni americane). Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. La semplificazione è il segno dell’intelligenza. Un antico detto cinese dice: quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte. Due degli artisti italiani più celebri ed amati a livello internazionale hanno lasciato, l’uno indipendentemente dall’altro, un’eredità così precisa: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. La passione di Bruno Munari per il mondo dell’infanzia è l’emblema della sua fiducia nel futuro: “I bambini di oggi sono gli adulti di domani aiutiamoli a crescere liberi da stereotipi
aiutiamoli a suiluppare tutti i sensi
aiutiamoli a diventare più sensibili
un bambino creativo è un bambino più felice. “ "
[...]Partendo dalla consapevolezza che la sperimentazione diretta facilita la comprensione
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e la trasmissione delle conoscenze, l’artista ha messo a disposizione la propria capacità di scegliere e fornire materiali e suggestioni visive, perché il bambino potesse egli stesso agire, liberando la propria curiosità in un gioco solo minimamente guidato, suggerito soprattutto attraverso le immagini e le dimostrazioni pratiche. Più che un metodo quello proposto da Munari è un modo di proporsi nei confronti dei bambini: l’assenza di una strutturazione rigida. [...]Bruno Munari può essere considerato una delle personalità, non appartenenti alla scuola, che ha saputo offrire stimoli eccezionali al mondo dell’educazione, che la scuola ha poi saputo fare propri. E’ stato un artista che ha rivolto all’infanzia uno sguardo particolare, riuscendo a comprenderne ed interpretarne i bisogni profondi. La sua attenzione non era volta ad un bambino immaginario, ma al bambino reale, che ha necessità di conoscere e di comprendere il mondo intorno a sè.
Un mondo fatto di sensazioni tattili che vanno riscoperte e conservate, di capacità di osservare con curiosità e stupore la natura, di voglia di esplorare tutte le possibilità che ci offrono gli strumenti grafici prima ancora di disegnare, di allegria nello scoprire tutti i suoni che produce un pezzetto di carta, di voglia di collezionare quanti rossi ci sono…
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[...]L’AMBIENTE come laboratorio.
Il MATERIALE come offerta di conoscenza.
L’ADULTO come guida e indicatore di metodi di lavoro.
Questi sono tre punti cardine del pensiero pedagogico su cui si fonda il laboratorio Bruno Munari.
Il laboratorio, secondo il Metodo Munari, rappresenta un luogo di creatività, libertà, sperimentazione, scoperta ed apprendimento attraverso il gioco ed osservazione della realtà che ci circonda con tutti i sensi,come premessa al conseguimento di una personalità originale ed autonoma attraverso lo sviluppo della creatività. I bambini sono liberi di scegliere la tecnica e  di sperimentarne anche più di una, uscire dalle regole apprese ed essere capaci di mescolare il tutto, per poi scegliere il comportamento più rispondende alla propria personalità (diversa da quella degli altri).
Il laboratorio di Bruno Munari non ha banchi, ma tavoli da lavoro, perciò permette totale libertà di gesti, di movimenti e, diversamente dalla scuola, possibilità di cambiare posto in funzione delle esigenze di lavoro. Nel laboratorio non si trovano verità precostituite o modelli da trasmettere, ma la possibilità di ricercare più verità e più modelli. Nel laboratorio non riveste primaria importanza il prodotto finale, quanto piuttosto il modo con cui si perviene al risultato, risultato che potrà essere l’inizio di una nuova
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sperimentazione. Con i suoi Laboratori Munari propone di insegnare ai bambini come si guarda un’opera: l’arte visiva non va raccontata a parole, va sperimentata: le parole si dimenticano, l’esperienza no. Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco, soleva ripetere l’artista, citando un antico proverbio cinese. Nel Laboratorio “si gioca all’arte visiva” affinchè si possa fruirne con maggiore consapevolezza e spirito critico. Il metodo si basa sul fare affinchè i bambini possano esprimersi liberamente senza l’interferenza degli adulti, diventando indipendenti e imparando a risolvere i problemi da soli.
“Aiutami a fare da me” [...]
"Bruno Munari" su Lapappadolce – imparare coi bambini: pedagogia e didattica, arte e manualità/altre pedagogie/classi 1a-5a/da 0 a 3 anni/dai 3 ai 6 anni/PEDAGOGIE, 10 Marzo 2011,

Un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada. Noi non facciamo lampade, mi risposero. E io: vedrete che le farete
Bruno Munari
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"Con questa frase di Bruno Munari, si può presentare una delle più note lampade del design italiano, nonché uno dei più conosciuti tra i progetti dell’artista designer. La lampada a sospensione Falkland, una lampada da la luce effimera, scenografica e scultorea, nella sua presenza. Testimonianza della creatività di Munari, la lampada Falkland, disegnata nel 1964 per Danese, vede coinvolta nel suo iter una ditta che realizzava calze femminili, essendo infatti pensata in origine usando maglia elastica, questo tessuto elastico tubolare definisce la forma grazie ad anelli metallici in alluminio naturale, che ne fanno da struttura.  E’ la forza di gravità che definisce e si estende nei suoi 166 cm (ma anche a misure intermedie di 85 cm e 53 cm) con diametro di 40 cm . Questa semplicità di materiali, la, rende facile ad essere trasportata è facilmente montabile secondo la stessa logica che si ritrova anche per altre lampade Bali del 1958 (cfr.: Lampada Bali di Bruno Munari per Danese | EYEON design

e Capri del 1961 e versione 2006 (cfr.: Bruno Munari - opere)

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realizzate da Munari, sempre per Danese. La visione geniale del progetto sta nell’essere riuscito ad aprire la strada nell’ambito del design, ad un materiale inedito, trasferire l’uso della filanca leggera, flessibile e intercambiabile, ad un settore diverso fino ad allora impensabile. Struttura interna portante e da una parte esterna che, fungendo da diffusore, regola il tipo di illuminazione, tutti accorgimenti determinano anche il basso costo nell’ottica di un design democratico. La lampada Falkland, definita forma spontanea, assume il suo aspetto quando viene sospesa, luce soft come all’interno di una nuvola. Una presenza importante e semplice allo stesso tempo che racchiude in sé il pensiero di Munari,che si distingue nel mondo del design, per la semplicità e la linearità dei suoi oggetti e per la logica essenzialità strutturale. La lampada è in collezione al Moma di New York."
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"La forma della lampada ‘Falkland’ nasce dalla tensione di un tubo di filanca e dal peso di alcuni anelli metallici: è una forma spontanea, generata unicamente dalla tensione delle forze interne che la compongono.  [...]  Questa lampada corrisponde più delle altre ai requisiti che Munari indica come indispensabili per una corretta progettazione: semplicità, efficienza, minimo ingombro di stoccaggio e massima resa formale. Nasce dalla commistione di oggetti lontanissimi tra loro, come le nasse da pesca, le calze da donna e le lampade di carta orientali. Falkland si compatta nella confezione in pochi centimetri di spazio, la luce filtra dal tubo, utilizzando la texture del tessuto per creare un caratteristico effetto di luminosità morbida e diffusa. Il diffusore è disponibile nella versione ignifuga."
"Danese Falkland 53 cm" su DESIGNINLUCE, dal web :Danese Falklan 53cm - http://www.designinluce.com/prodotti/danese-falkland-53cm_10427

Fonti foto:


Alessia Chillemi

corretto e ripostato cp